Lug 21, 2007 - racconti brevi    3 Comments

Kivulimi – Frecce avvelenate

09eedcc3781fa11f33483c56241af201.jpgquarta parte

Non potevano esserci due case come quella: alta e bianca con numerose merlate, protette dalla parte del mare da una muraglia così massiccia da ricordare un antico forte; si levava direttamente dalle rocce sottostanti, un muro con una garitta all’estremità. Anche la spiaggia le era familiare: una falce di luna di candida sabbia, delimitata su entrambi i lati da due massicce scogliere coralline sormontate da una boscaglia di contorti pini marittimi e di vegetazione tropicale. Non poteva sbagliarsi… era la baia e la casa che ricordava… Attirata dallo scintillio dell’acqua Hero rivolse altrove la sua attenzione e seguì un altro sentiero che la portò sulla sponda di una fontana adorna di uccelli di pietra e piena di petali caduti, nella quale stupende farfalle purpuree si scaldavano al sole sopra enormi ninfee candide. Sul lato opposto della vasca crescevano cespugli giganteschi di fiori selvatici: ibisco, zinnie, rose e piante di corallo, una nuvola azzurrina di piombaggine e una cascata candida di gelsomini che permeavano le ombre della loro dolce fragranza. Fra i tronchi degli alberi e un merletto di fogliame si scorgevano appena alcuni gradini di pietra che portavano a una lunga veranda e, più in là, alla casa vera e propria… Proprio in quel momento un ramo spinoso, pesante di boccioli gialli e profumati, si impigliò nella sua gonna mentre si voltava per allontanarsi dalla vasca. Hero si chinò per liberarla e… restò di pietra, la mano paralizzata sull’orlo del vestito di cotone nero, il sorriso raggelato sulle labbra, lo sguardo fisso su un paio di gambe calzate da stivali di cuoio, perfettamente immobili all’altro lato del cespuglio… e si trovò a fissare, occhi negli occhi, un paio di iridi chiarissime e incredibilmente gelide.” (Da Vento dell’Est di M.M. Kaye)

 

Il battello a motore avanza a poche centinaia di metri dalla costa. Il mare di Zanzibar è blu cobalto e intorno a noi scivolano a pelo d’acqua i dohw, le antiche imbarcazioni arabe dalla vela triangolare, ancora oggi utilizzate per la pesca. Con la bassa marea, come veneri fuoriuscite dalle acque, emergono le candide lingue di sabbia, dando la luce ad una miriade di conchiglie e granchi di ogni dimensione. Un’infinita varietà di pesci e di coralli popola queste acque. Qualcuno avvista in mare aperto un branco di delfini e avverte concitatamente gli altri.  Io non stacco lo sguardo dalla costa, nella speranza di intravedere prima o poi le mura merlate della Casa delle Ombre, ma nulla che possa lontanamente corrispondere alla descrizione si profila all’orizzonte. Ancora due giorni prima della partenza. Domani faremo un giro nell’interno per visitare alcune piantagioni di spezie per cui Zanzibar è famosa in tutto il mondo. Manca poco al rientro a casa e nonostante abbia amato ogni istante di questo viaggio, disavventure comprese, mi manca qualcosa. Nel pomeriggio non potrò cimentarmi in un’altra escursione, perché ho un conto in sospeso da regolare. E la mente mi torna alla sera precedente.

Il maestro di tiro con l’arco è un tipo atletico ma non particolarmente bello, in compenso è un gran pallone gonfiato. Già nei giorni precedenti mentre ero intenta a consumare i miei pasti lo avevo sentito lamentarsi con colleghi e ospiti del villaggio dell’invadenza di alcuni ospiti, che passano le loro giornate importunando gli animatori con continue domande sul loro stile di vivere che li porta tanto lontani da casa per molti mesi all’anno. Due sere prima, per l’appunto, questo campione di diplomazia era capitato proprio al tavolo in cui io ed un gruppetto di altri ospiti stavamo cenando beatamente, scambiandoci chiacchiere e curiosità, e immancabilmente aveva cominciato a snocciolare le solite lamentele. Avevo atteso pazientemente che terminasse e poi guardandolo dritto in faccia gli avevo detto: “dovresti essere contento che qualcuno di interessi a ciò che fai dal momento che è impossibile interessarsi a ciò che dici…”. Silenzio. Lui era diventato paonazzo, ma non aveva risposto. Non poteva mancare di rispetto ad un’ospite più di quanto avesse già fatto. Io avevo ripreso a mangiare apparentemente tranquilla, ma in realtà incredula del mio comportamento. Tanta schiettezza non mi appartiene, ma in quell’occasione avevo dovuto ammettere con me stessa che negli ultimi mesi in me sono cambiate tante cose e lo dimostra il solo fatto che abbia deciso di intraprendere questo viaggio tutta sola… Tornando al tipo ne avevo proprio le scatole piene di lui, in fondo nessuno lo obbliga a fare ciò che fa ed è naturale che un lavoro così fuori dalle righe possa affascinare persone che passano la maggior parte della loro vita dietro una scrivania. A poco a poco al tavolo era ripreso il chiacchiericcio e lui con una scusa si era alzato ed era andato via. La sera seguente aveva avuto il compito di intrattenere gli ospiti proponendo degli indovinelli. Un classico, partendo da pochi indizi e con la facoltà di porre alcune domande bisognava indovinare la soluzione del giallo. In genere non amo stare al centro dell’attenzione, per cui per un bel po’ ero rimasta in silenzio, ma poi la curiosità aveva preso il sopravvento e incurante di tutte le persone che mi stavano intorno avevo cominciato a porre tutta una serie di domande e in men che non si dica ero arrivata alla soluzione. E questo per due volte di seguito, tanto che per un attimo mi ero quasi dimenticata della presenza di altre persone nella sala, a parte lui naturalmente. Alla fine si era passato ad altro e lui aveva approfittato di un momento libero per avvicinarsi a me ed alle due ragazze con cui avevo fatto amicizia e ci aveva invitate per il giorno seguente a cimentarci nel tiro con l’arco… Che bastardo! Era chiaro che lo stava facendo per vedermi umiliata e sconfitta! Naturalmente non avevo potuto tirarmi indietro.

 

Ed ora eccomi qui a giocare a Robin Hood… mai una volta che faccia la parte di lady Marian. Sarebbe così riposante! La corda tesa al massimo, con l’indice ed il medio della mano destra all’altezza del naso a pochi millimetri dal viso, il gomito allineato con la mano. Abbiamo tre frecce a nostra disposizione e ne ho già sprecate due, ma non mi sono voltata dalla sua parte a guardare la sua espressione gongolante. Si alterna fra le due ragazze per aiutarle a correggere il tiro, naturalmente si guarda bene dall’aiutare anche me. Cerco di mantenere al meglio la postura, anche se è faticosissimo, è importante non solo per un tiro decente, ma anche per non ferirmi il viso con la corda. Sono concentratissima, tiro un profondo respiro e lascio andare le dita… Trattengo il fiato e… Incredibile! Centro! Resto immobile. Non posso crederci! Nemmeno questa volta mi giro a guardarlo, non so se si è accorto del mio tiro.  Prima di muovermi per andare a raccogliere le frecce sul bersaglio devo aspettare il suo segnale. Potrei diventare il bersaglio di qualcun altro. Passa un tempo interminabile e quasi sussulto quando lo sento dietro di me che a voce bassa dice, come se mi avesse letto nel pensiero: “Ho visto…” ma non lo guardo in faccia e non ho idea della sua espressione. Poi ci da il segnale e tutte e tre andiamo a raccogliere le nostre frecce. Mi cimento in altri tre tiri, discreti, anche se non riesco più a fare centro e me ne vado. Meglio non sfidare la fortuna. Lui ha una faccia impenetrabile e mi saluta con un cenno della testa.

 

Continua….
                                                         penny.blue

Kivulimi – Frecce avvelenateultima modifica: 2007-07-21T11:15:00+02:00da refusi
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3 Commenti

  • I giochi sono sfide. Sempre. Tra uomini e donne raggiungono punte sublimi.

  • ciao ref..!!
    grazie del passaggio! =)
    ammetto ke sn stata un po’ tragica e catastrofica.. e stupida.. ma a volte xdo del tutto il lume della ragione!!
    ah!..l’amore..l’amore… tanto si ama tanto si odia!!
    dopo qsta caxxata del sabato notte..posso andare a nanna!! =D
    a presto..ref..
    es!

  • Ciao …il gioco è parte integrante della vita. Senza vittorie o, più spesso, sconfitte non avremo emozioni. affettuosam