Set 9, 2007 - poesie, racconti brevi    16 Comments

Il sogno e i canguri

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Tempo fa, tanto tempo fa,  avevo scritto una poesia se così si può chiamare, non mi sembrava male, ma poi rileggendola mi ero reso conto che poteva avere qualche significato solo conoscendone l’antefatto, così avevo pensato di narrare anche quello. Cosa è successo dopo……… beh, questa è un’altra storia e non è dato di saperlo.

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Il sogno e i canguri

Nella stanza
prima tranquilla,
ora qualcosa è cambiato.
Il lampadario annoiato,
stanco
di stare appeso al soffitto
ondeggiando
occhieggia in altre stanze
alla ricerca
di un riflesso ramato.
L’armadio geme e scricchiola
nel tentativo
di fuggire dalla stanza
ad inseguire un ricordo.
Lo specchio
si corruga e s’affanna
cercando
di creare un immagine.
Le silenziose pareti
trattengono
gelose nei propri angoli,
l’eco di una risata.
Canguri smarriti
caduti da un sogno
saltellano impauriti,
alla ricerca di nuovi alberi
e del padrone del sogno.
La giacca di un pigiama
tenacemente conserva
vago un profumo
e un po’ di calore
nel ricordo di un corpo.
Un bianco letto,
ora troppo grande e vuoto
ed un cuscino
privato del fuoco di un capo
invocano nuovamente
la sua presenza.

                                     

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Notai per la prima volta la loro presenza rientrando in casa quella mattina, con gli occhi che si rifiutavano di restare aperti a causa del sonno. Lo vidi saltellare per la camera senza provocare alcun suono, irreale fantastico, un canguro rosso rame con profondi, malinconici occhi scuri.
Incubo, sogno od allucinazione? Sbattei più volte le palpebre cercando di scacciare quella imbarazzante visione, inutile, il canguro era sempre lì. Mi buttai sul letto più sorpreso che allarmato, gli occhi arrossati, il cervello appesantito dal fumo e da qualche bicchiere di vino di troppo e nonostante non riuscissi a scacciare l’immagine di quel folletto saltellante, né tanto meno a capire la ragione della sua presenza caddi in un sonno profondo, privo di sogni.
Riaprii gli occhi alle prime ore del pomeriggio, scrutai fuori dai vetri cercando di individuare, in un cielo completamente grigio, l’impossibile raggio di sole che colorava di rosso un angolo della stanza, poi lo vidi e ricordai. Era ancora lì, col suo fulvo mantello osservandomi con quei due grandi e profondi occhi. Due? No, quattro, sei occhi. Dal marsupio sul ventre erano spuntati due piccoli musi identici nel colore, rossi! I canguri erano diventati tre. Sbattei più volte le palpebre, stropicciai gli occhi, scossi in modo forsennato la testa cercando di snebbiare il cervello, cancellare la loro presenza, annullare quell’assurda visione. Niente! I canguri erano sempre lì e mi guardavano, sembravano stupiti dalla mia reazione, sembrava io dovessi sapere chi fossero ed il motivo della loro presenza. Girai lo sguardo per la stanza, era la camera di sempre, lo stesso letto, il medesimo armadio, lo specchio, i comodini, sul letto guanciale sprimacciato accanto al mio ed il di dubbio, l’assurda sensazione che mancasse qualcosa, qualcuno! Le prime dolorose contrazioni allo stomaco provocate dall’ansia, il senso di vuoto, l’assenza, la certezza! Il ricordo di un capo rosso rame, di uno sguardo profondo come il buio, il ricordo di un sogno accennato di piante e di canguri.
Di canguri! Tornai con la memoria alla sera precedente db4217e7c02082111151c7e2f154c15c.jpgquando, non sapendo cosa fare ci eravamo riuniti tutti a casa mia, amici ed amiche, trascorrendo la serata in allegria, ridendo e scherzando, giocando a certe ed accennando ad ipotetici quanto improbabili flirt. C’era anche lei, presente ed assente nello stesso tempo, estranea, come altre volte, a quanto le accadeva attorno. Istintivamente antipatica. Con quei suoi capelli troppo rossi, con i suoi occhi così strani, con quel suo modo di vestire trasandato e grande almeno due misure di troppo. Si alzò e mi chiese di telefonare, accennai di sì con il capo e continuai a giocare a carte con gli altri dimenticandomi di lei, come sempre. Passata la mezzanotte la compagnia cominciò a sfollare in un affollarsi di ciao, grazie di tutto, a domani, ci vediamo al bar, non so se ci sarò, ci sentiamo per telefono, quando in mezzo ad altre voci la sentii sussurrare:” Scusa, ti spiace se rimango qui a dormire? E’ tardi e non posso tornare a casa”. Ricordo la sensazione di fastidio che provai alla sua richiesta, lei dovette notare la mia espressione perché aggiunse subito quasi in tono di supplica:” Ti prego non ti darò fastidio, ecco – disse – dormirò qui sul divano”. Non ricordo se fu il tono della sua voce o lo sguardo triste dei suoi occhi a farmi cambiare idea, ma all’improvviso quell’antipatia istintiva ed immotivata che avevo provato sino ad allora nei suoi confronti si allentò e scomparve per lasciare posto alla curiosità. Le prestai un pigiama, le feci posto nel letto, giuro che per tutta la notte non mi sfiorò mai il pensiero di poter fare all’amore con lei, anche se, tolta dall’involucro informe dei suoi abiti, appariva all’improvviso fragile, graziosa e desiderabile. Non dormimmo, cominciammo a parlare. Non ricordo esattamente da dove iniziò la conversazione, però parlammo di tutto. Lei accennò al suo mondo, ai suoi amici, parlò dei suoi problemi, delle sue paure, dei fantasmi che popolavano i suoi sogni ed io l’ascoltavo, accendendo l’ennesima sigaretta e riempiendo ancora una volta i bicchieri. Poi, forse a causa della stanchezza e del vino, i nostri discorsi divennero improvvisamente assurdi, irreali, fiabeschi. Parlammo di armadi viaggiatori che, stanchi di stare ancorati ad una parete, fuggivano irrequieti dalle camere. Di lampadari antipatici che ondeggiavano pericolosamente sui soffitti minacciando di cadere. Di box che al mattino non volevano più aprirsi e fare uscire le auto per la paura di dover rimanere nuovamente soli. Le sue risate, echeggiando squillanti ed argentine, costrinsero più volte i vicini a percuotere con i pugni le pareti invocando il silenzio. Questo quando lei, alle quattro del mattino con gli occhi semichiusi dal sonno, si addormentò augurandomi, dopo un ultimo sbadiglio, la buonanotte ed io rimasi sveglio guardandola dormire, senza pensare a nulla, sorvegliando il suo sonno affinché in suoi sogni non si trasformassero in incubi e nel sonno, mi si raggomitolò contro, cercando inconsciamente la protezione di una madre. Si risvegliò alle otto, si stirò e sorrise:”Ciao – disse guardandomi – sai ho fatto un sogno strano, bellissimo, ero in un bosco  verde con tanti canguri che saltavano fra gli alberi…” e continuò a narrarmi il suo sogno felice come una bambina, sino a quando più tardi, una sua amica la venne a prendere. Si rivestì e io l’accompagnai sino alle scale, :” Ciao ci vediamo, grazie” disse, mi sorrise ancora poi si avviò di corsa per le scale.
Fu proprio allora che rientrando in casa vidi il canguro, i canguri. In poche ore ero passato dall’antipatia alla simpatia, dalla simpatia a qualche cosa d’altro che non volevo ammettere, no, pensai, non è possibile. Solo da poco ero uscito piuttosto ammaccato da un matrimonio a dir poco burrascoso e sino a qual momento non avevo avuto alcuna intenzione di iniziare  una nuova relazione. No! Mi dissi. Non voglio, non devo.
“No. Non puoi.” Quella voce echeggiò nella mia testa ripetendosi come un eco.
“Chi…?” esclamai sgomento.
“Noi” Mi volsi.
“Si, noi, i canguri”
“Voi non esistete, – urlai  – non esistete e non siete mai esistiti. Non potete parlare, siete un incubo, una allucinazione, un’assurda ipotesi. Via! Andate via!”.
“Non possiamo, – risposero – E’ vero, prima non esistevamo, prima di cadere da un sogno, ma ora siamo qui come te e aspettiamo”.
“Aspettate? Aspettate cosa? Che cosa aspetto?”
“Lei – risposero – che lei torni a prenderci”.
“Tornerà?” chiesi sconfitto.
“Forse” risposero.
a7232ce57fce5f94cd3ab3e6989e2b73.jpgChiusi gli occhi per l’ennesima volta cercando di riordinare i pensieri, cercando di dare una spiegazione a quella sensazione di vuoto, alla mancanza di qualcosa. Li riaprii e li richiusi nuovamente nella speranza che tutto potesse tornare alla normalità, sperando, riaprendo gli occhi, di poter constatare la scomparsa di quegli strani e saltellanti folletti rossi. Niente, erano ancora lì, così mi costrinsi ad accettare quell’impossibile presenza quasi fosse un fatto reale. Mi vestii di corsa, uscii e girai per la città quasi fossi un invasato andando da un bar all’altro, da una piazza all’altra nella speranza di incontrarla nuovamente. Incrociando gli amici presenti la sera prima a casa mia mi soffermavo a fare quattro chiacchiere, ma dentro bruciava la voglia di chiedere se l’avessero vista, se ne conoscessero l’indirizzo od il numero di telefono ma senza mai trovare il coraggio per farlo. Alla sera tornato a casa, ritrovai ad attendermi i canguri, il più grande sulla porta della camera ed i piccoli che, silenziosi, saltellavano sul letto. Mi guardarono muti ma i loro occhi esprimevano una silenziosa domanda “L’hai vista? Tornerà a riprenderci?”.
Non risposi, la mia espressione era più eloquente di qualsiasi parola. Scoraggiato mi buttai sul letto cercando di prendere sonno e col sonno dimenticare, loro mi circondarono pazienti ed attesero, poi, quando finalmente mi addormentai, silenziosamente entrarono nei miei sogni. Continuai così per diversi giorni a girovagare per la città nella speranza di incontrarla, senza nessun risultato, la sera rientrando a casa incontravo nuovamente i canguri che ripetevano ogni volta con gli sguardi la medesima domanda, aspettando poi, pazienti come sempre, che mi addormentassi per entrare nei miei sogni ed uscirne nuovamente al mio risveglio all’alba, nell’implorante attesa di poter tornare ancora una volta a quell’unico vero sogno.

 

                                                                                                 refusi

Il sogno e i canguriultima modifica: 2007-09-09T10:20:06+02:00da refusi
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16 Commenti

  • è sempre bellissimo quello che scrivi…mi hai emozionata…per quanto riguarda l’ovetto vedi alla sinistra del mio blog e capirai…bacini…buona domenica

  • ref vai su questo blog “http://ilmiopazzomondo.myblog.it”e forse capirai…ihihih!cmq l’ovetto lo stiamo promuovendo se ti va mettilo anche tu

  • ri-ciao ref—ti spiegherò bene la storia dell’ovetto…beh sono degli ovetti e il 1 ottogbre dovrebbe uscire qualcosa dall’interno e io e altre 4 ragazze lo stiamo…pubblicizzando…ecco tutto…ti lascio ancora a una dolce domenica

  • É un racconto molto intimo. Quella donna ti ha lasciato il suo sogno.

  • Un storia proprio dall’animo marsupiale….calata nella tasca di un sonno dalla spasmodica voglia di farsi riscoprire… ciao

  • c.p.c.
    ciao, non sono e non voglio essere un intellettuale, e scrivo quanto mi passa nelle testa, quanto mi resta dei ricordi, oserei definirmi naif sempre che questo termine possa essere associato anche alla scrittura, scrittura bada bene non letteratura, non amo gli esercizi stilistici ne la ricerca di vocaboli ad effetto, ne tantomeno geniali commenti che si prestano a più, quanto improbabili interpretazioni, ref…….

  • dolce notte…baci

  • come capisco il diventare custodi di sogni altrui, quando entrano è così, li si può solo accettare. un bacio ref

  • Molto avvincente, sentito e veramente ben scritto… a quando il seguito?

  • credo sia meglio lasciarla così, è più dolce…

  • sei poi riuscito a liberartene? un sorriso, af

  • Molto bello il racconto e tu come va? Bacio Poldy

  • Volevo solamente salutarti, ma ho trovato un racconto molto bello e coinvolgente. Bravo.
    Affettuosam

  • ke bella frase ref… =)
    grazie 1000!!
    buonanotte…

  • rendere la vita impossibile ad entrambi

  • struggente e emozionante e malinconico e per finire triste… quando qualcuno ti regala un sogno è come si ti avesse regalato un pezzetto del suo cuore… ma si può lasciar fuggire un sogno tanto bello senza far niente per farlo tornare reale? mhm… chissà…