I ragazzi della Via Palestro

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Premessa

 

No, lungi da me l’idea di fare il verso al ben noto romanzo, è solo che da tempo rimuginavo l’idea di scrivere qualche cosa in merito alle avventure di un gruppo di ragazzi realmente esistiti che nel corso di diversi anni, a partire dal 1950 al 1965 circa, hanno vissuto e sono cresciuti in quella via Palestro che era a quei tempi la periferia sud della città di Como, ora zona residenziale a due passi dall’università cittadina..Voglio provarci, ma non ritenendomi capace di costruire un’intera storia, crearne un ossatura ed un percorso che ne tracci gli eventi in ordine cronologico mi limiterò per ora a narrare di alcuni fatti accaduti in quegli anni in brevi racconti. Ho pensato a quello che poteva essere il titolo che raccogliesse quanto sarei riuscito a scriverne, le alternative erano due, avrei potuto anche titolarlo, la Banda del Gufo nome col quale vennero poi ricordati in seguito anche se impropriamente i ragazzi di quel gruppo, ma questo fatto accade alla metà di quegli anni e non potrebbe essere associato all’intero gruppo. Come ho detto ero anche restio a titolare l’insieme “ I ragazzi della Via Palestro” proprio perché a qualcuno la somiglianza col ben noto romanzo avrebbe potuto apparire sospetta. Ma poi considerando che pochi sarebbero venuti a conoscenza di questi racconti, che quella via Palestro è una via reale e non di fantasia, che quei ragazzi sono esistiti e che molti di loro continuano ad esistere anche se ora in forma adulta, per ricordare quei tempi e per ricordare quei ragazzi mi è sembrato giusto lasciare che fosse proprio il nome della via a raccogliere il tutto o il poco che mi riuscirà di scrivere.

La via Palestro posta a sud della città di Como , era considerata a quei tempi come l’estrema periferia, oltre la quale il nulla, per molti, per loro un mondo misterioso da scoprire. Partiva dalla Piazza d’Armi dietro le caserme e scendeva giù, o saliva come sarebbe stato più corretto dire visto che la città era posta a nord, ma siccome la zona si trovava in posizione più elevata rispetto al centro città, noi si solava dire “ andiamo giù in centro o andiamo giù al lago” . Dicevo comunque che partendo dalle caserme “scendeva” verso la città per circa 300 metri in linea retta osservando quasi perfettamente l’asse sud nord, per giungere sino alle rive del torrente Cosia che scendeva dalla valle di Tavernerio in quel tratto in direzione ovest, qui la strada voltava quasi ad angolo retto seguendo il torrente e proseguiva ancora per un centinaio di metri per poi immettersi nel viale Giulio Cesare. Le case lungo la via a quei tempi erano poche, all’inizio della stessa vi erano alcuni stabilimenti tessili, poi sotto di essi una palazzina, più avanti ancora la via si incrociava con la Via Anzani perpendicolarmente e proprio qui sul lato destro iniziava il caseggiato che proseguiva giù quasi sino al torrente. Il caseggiato era composto da due fabbricati affiancati, il civico 3 e il civico 5 che con il caseggiato d’angolo alla loro destra posto in via Anzani e col grande cortile al suo interno componeva il gruppo delle case Pessina. Avrò occasione, spero, nel corso dei racconti di ampliare la descrizione dei luoghi ma per ora mi limito a questo. Una postilla, a qui tempi il mondo era diviso in due categorie, il loro del quale facevano parte tutti i ragazzi al di sopra dei 7 sino ai 15 anni, e quello dei “grandi” gli altri. Dedicato a tutti i “ragazzi” di quella via Palestro.

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I ragazzi della Via Palestro

Cape Pessina

 

Ovvero il primo razzo lanciato dall’Italia, all’insaputa di tutti naturalmente.

 

Parte prima – L’illuminazione.

 

Il fatto accadde tanti ma tanti anni fa e tutto ebbe inizio il giorno in cui un gruppo di ragazzini di età comprese fra gli 8 ed i 14 anni, raggruppati in un campo poco distante delle loro abitazioni stavano decidendo sul come impiegare nel modo più proficuo la giornata. La scuola era terminata da pochi giorni e si presentava per tutti un lungo periodo di vacanza, nessuno a quei tempi e da quelle parti sarebbe partito per il mare o la montagna, quindi occorreva programmare le cose da fare per evitare che divenissero ripetitive e noiose.La giornata era calda, ed era solo pomeriggio iniziato, da escludere quindi di organizzare una partita a pallone, la si sarebbe potuta fare le sera col fresco e poi ci sarebbero stati anche i grandi rientrati dal lavoro che non disdegnavano mai di dare quattro calci al pallone prima di rientrare a casa per la cena. Stavano appunto decidendo se dirigersi verso la Tarliscia, un bosco posto qualche chilometro a nord dalle loro abitazioni per verificare se fosse già ora di dare inizio alla raccolta di mirtilli, fragole di bosco,more e magari l’incontro fortuito con qualche fiorone, porcino di stagione; o incamminarsi lungo il torrente Cosia per risalirne la valle su sino al Navedano per fare qualche tuffo nelle vasche di acqua gelida con la speranza di raccogliere qualche gambero di fiume lungo il percorso che sarebbero serviti a variare la dieta alquanto monotona delle loro famiglie.
Stavano appunto decidendo sul da farsi, quando un vociare sulla strada che conduceva alla piazza d’armi, qualche centinaio di metri più a nord del luogo dove si trovavano, attrasse la loro attenzione. Incuriositi risalirono prontamente le piccola erta che li separava la strada e scorsero, una fila di ragazzini tutti ben messi ed ordinati da sembrare una scolaresca, tele era infatti, che accompagnati da un adulto, il maestro, scoprirono dopo, si dirigevano tutti eccitati proprio verso la piazza d’armi posta alle spalle della locale caserme di fanteria.La curiosità prese il sopravvento, e lentamente presero a seguire il gruppo, chiedendosi come mai una scolaresca fosse ancora riunita col maestro a fine dell’anno scolastico. Ennio che solitamente non temeva nulla e nessuno ed era di una sfacciataggine incredibile, in pratica il portavoce del gruppo, si affiancò al gruppo degli altri ragazzini e rivolgendosi a uno di questi chiese:

“ Dove state andando?”

Sembrava che non aspettassero altro, prontamente quello che sembrava il capo si girò verso di loro dicendo:

“Venite , venite a vedere di cosa siamo capaci, stiamo andando alla piazza d’armi per fare un esperimento, dobbiamo lanciare un razzo”

Solo allora il gruppo di ragazzini si accorse che l’adulto, il maestro, reggeva fra le mani un cilindro di ottone affusolato, a punta da un lato e con le alette sul lato opposto. Certo che visto così il razzo faceva la sua impressione. Avevano sentito parlare di razzi ma mai ne avevano mai visto uno così da vicino, anche se per la verità, ogni tanto, qualche cosa in aria, l’avevano mandata anche loro. Così decisero che quel pomeriggio lo avrebbero trascorso a guardare l’esperimento, il lancio del razzo, non senza una certa invidia per quei ragazzi.
Giunti sulla piazza, un terreno incolto di un centinaio di metri per lato con all’interno alcuni ostacoli per il percorso di guerra dove venivano addestrate le reclute, il gruppo di scolari, chiamiamolo così per differenziarlo, si pose al centro e pregando i curiosi di mantenersi ad una certa distanza, . “Poteva essere pericoloso” dissero, iniziarono a montare sul terreno una struttura in legno, base quadrata di circa un metro per lato, nella quale infilarono due altri paletti di legno in senso verticale di una cinquantina di centimetri, la base di lancio vennero poi a sapere, molto più tardi quando guardando la televisione videro i lanci dei primi vettori verso lo spazio.I preparativi fervevano, Ennio osservava il tutto e scuoteva la testa in senso di diniego,
“Se quel coso li vola, – disse rivolgendosi a Giuseppe, in predicato di entrare in seminario, aveva la vocazione diceva – mi faccio anch’io frate” e continuava a scuotere la testa.
Uno della scolaresca sentì il suo commento e seccato gli si rivolse contro:

“Cosa ne vuoi sapere tu, ignorante, noi abbiamo studiato tutto l’anno e fatto tutti i calcoli”

“Qualche cosa ne so, – rispose lui – visto che , qualche razzo, un po’ più piccolo, a volte lo facciamo partire anche noi”

Un’ espressione sorpresa si dipinse sulla faccia dell’altro, che ribatté:

“Ma come? – Per proseguire poi con un – Non ci credo”

Ennio sorrise, “ Come – disse – te lo spiegheremo dopo, quando il vostro baracco avrà fatto cilecca”

L’altro si allontanò inviperito verso il suo gruppo dando di spalle senza rispondere.
Il gruppo dei ragazzini intanto si era accomodato su di un muretto del percorso di guerra, distante una quindicina di metri ed osservava il fervere dei preparativi.
Il piccolo razzo era stato posto sulla pedana ed appoggiato ai legni di sostengo, venne tolta una vite e nel foro videro versare con un piccolo imbuto un liquido contenuto in una lattina rettangolare, poi la vite fu riavviata al suo posto. Sul fondo del razzo si potevano scorgere una serie di micce ordinatamente allineate sulla piattaforma. Il maestro si avvicinò all’ordigno e con una bastone su cui aveva posto un panno prima imbevuto di benzina e poi acceso diede loro fuoco allontanandosi  poi velocemente e facendo allontanare tutti gli alunni.
Le micce presero immediatamente fuoco, si poteva sentire lo sfrigolio della polvere sino a che consumate scomparvero all’interno del razzo. Passarono alcuni minuti e non accadde nulla. Ennio sogghignava osservando la scena, con l’espressione tipica di quello che aveva visto giusto, un “lo avevo detto io” gli si leggeva sul volto, l’invidia stava scomparendo e piano piano volti del gruppo di ragazzini su stava allargando un sorriso di divertito.
All’improvviso iniziò a sentirsi un sibilo, del fumo, prima piano piano e poi sempre più velocemente cominciò ad uscire dalla base del razzo, “Parte, parte” , urlarono in coro gli studenti saltando dalla gioia ed osservando con superiorità i ragazzetti quasi fossero mentecatti. Ma non partì. Dopo qualche minuto di fumo con un rumore sordo, come quello delle bottiglie del latte piene che cadendo vanno in mille pezzi; i ragazzini quel rumore lo conoscevano bene, troppo spesso gli era accaduto di sentirlo andando a fare la spesa per non ricordarlo. Dicevo con un “ploff” sordo il missile dorato si afflosciò su se stesso aprendosi sulla verticale lungo la linea delle saldature. Sulla faccia del gruppo di scolari si dipinse la delusione e la vergogna per la figura fatta davanti a quei ragazzini che avevano snobbato e che ora stavano ridendo a crepapelle alle loro spalle.
In silenzio raccolsero le loro cose, i resti del razzo e tristemente si avviarono sulla via del ritorno, con la voce di Ennio che li rincorreva ironicamente “ Ma come – gli urlò dietro – non volete sapere come li facciamo partire noi?”
La giornata era ormai trascorsa, il pomeriggio avanzato e il sole cominciava ormai a portarsi verso le coline, fra non molto il prato sarebbetornato all’ombra, i grandi sarebbero tornati dal lavoro e sino alla chiamata per la cena si sarebbe potuto giocare a pallone.
Ma mentre tornavano verso le case, Sergio fu colto da un illuminazione, guardò gli altri e con un espressione furba sul viso disse :
“Perché il razzo non lo facciamo partire noi?”
Il gruppo gli si fece attorno a capannello, la proposta aveva un che di interessante, avrebbe potuto riempire alcuni dei loro giorni di vacanza, nello studio dei particolari, nella ricerca dei materiali e nei preparativi. Aldo quel giorno non era con loro e lui era indispensabile per il reperimento della materia prima. Ne avrebbero discusso non appena fosse stato presente, ora giunti al prato che fungeva da campo da pallone, si dedicarono alla partita.
Quanto aveva affermato in precedenza Ennio a quell’altro gruppo di ragazzi e cioè, che anche loro riuscivano a far volare qualcosa, non era stata una sparata, ma la semplice verità. Da tempo uno dei loro divertimenti era quello di far partire verso l’alto dei piccoli barattoli di conserva che si innalzavano nel cielo per una decina di metri, ed il propellente di base era, associato all’acqua, il carburo. Sostanza chimica utilizzata nelle officine meccaniche, per questo era necessaria la presenza di Aldo, il fornitore della materia prima era lui, visto che suo padre era il titolare dell’officina meccanica presente all’interno del cortile dei due caseggiati dove tutti risiedevano.
Il gioco consisteva nel prendere una barattolo di conserve col fondo tagliato e forarlo sull’altro lato al centro. Poi si scavava una piccola buchetta nel terreno vi si poneva qualche grammo di carburo, vi si versava sopra dell’acqua e la si copriva col barattolo avendo l’accortezza di tenere un dito premuto sul foro. Il carburo a contatto con l’acqua genera un gas esplosivo, dopo qualche attimo bastava togliere il dito dal foro, avvicinare un fiammifero acceso e il barattolo sarebbe balzato prontamente in aria per diversi metri a causa dell’esplosione.

 

 

segue………………….. refusi

I ragazzi della Via Palestroultima modifica: 2009-06-02T22:14:00+02:00da refusi
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2 Commenti

  • Bella storia ed ambientata molto bene! Aspetto la prossima puntata!

  • Continua aspetto…..
    PS. La diversita’ di idee allarga semplicemente la conoscenza, avere il paraocchi chiude qualsiasi dialogo di confronto, a me piace confrontarmi con idee opposte, la liberta’ di pensiero e’ la liberta’ che ogni uomo deve per diritto avere!
    Ti abbraccio