L’amore di una donna
L’amore di una donna
non ha prezzo,
si può comprare il sesso,
l’illusione,
l’amore di una donna
non si può comprare,
si può accettarlo
come un grande dono
sino a che dura
poi
lasciarlo andare.
L’amore di una donna
non ha prezzo,
si può comprare il sesso,
l’illusione,
l’amore di una donna
non si può comprare,
si può accettarlo
come un grande dono
sino a che dura
poi
lasciarlo andare.
Ambarabà,
ciccì,
bamba,
coccò.
Le scimmie.
Tre, e il comò.
La figlia e il dottore,
l’amore.
No.
Che facevano le scimmie?
Non so.
Ma erano tre?
Si mi sembra. Perché?
No, non erano scimmie.
E il dottore
Faceva?
Faceva l’amore.
Con la figlia?
Sul comò.
Che strana famiglia.
In verità
non ricordo
com’era
che c’era
chi c’era.
Ma il comò,
quello c’era.
Sì, c’era,
ma
era storia non vera.
Ma allora
che c’era?
La mia gioventù.
Ah, ma allora…
almeno quella era vera.
Sì, si, ma
era.
Ambarabà ciccì coccò (Testo della filastrocca)
Ambarabà ciccì coccò
Tre civette sul comò
che facevano l’amore
con la figlia del dottore.
Il dottore si ammalò
ambadabà ciccì coccò.
Non vi nascondo come all’epoca questa filastrocca
abbia potuto confondere le mie poche nozioni sullo
argomento.
Mi chiedevo come fosse possibile che tre civette
potessero fare l’amore con la figlia del dottore e per
di più sopra ad un comò, di uno scomodo. Il fatto
aveva così colpito la mia fantasia giovanile tanto
da portarmi a formulare delle ipotesi.
I) Si trattava di tre civette maschio superdotate.
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II) Per questioni di pudore la signorina in causa
aveva indicato come civette quelli che a
all’epoca erano comunemente e genericamente
definiti “uccelli”
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III) Il narratore degli accadimenti si era fatto una
canna, rara per quei tempi, o più semplicemente
un bottiglione di barbera.
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IV) Antonio, Guido e Marco Civetta, si stavano
divertendo
Nuova giornata rinchiuso in
casa,
idea geniale, vo’ a far la
spesa,
poi mi sovviene dai miei
pensieri
ma mondo cane, l’ho fatta
ieri.
Prendo il giornale ma è quello
vecchio,
conto le rughe dentro lo
specchio
son messo male ma nessun
guarda
ma, forse è meglio farsi la
barba.
Accendo la TV e guardo lo
schermo,
si vede male alla luce del
giorno,
cose stravecchie viste e
riviste
e quattro pirla con l’aria
triste
che per rallegrate la mia
giornata
parlano di gente morta
ammazzata,
dal più infido degli
assassini,
il micro killer dei
cinesini,
ma loro fanno previsioni a
oltranza,
per rafforzare, dicono, la mia
speranza.
Spengo lo schermo, resto
indeciso
con una smorfia di dubbio sul
viso
devo decidere che cosa
fare,
creare un ordine
preliminare,
allora accendo prima il
computer,
o prima vado a sedermi sul
water?
Poi per interrompere la noia e
l’andazzo
vado a far quattro passi là, sul
terrazzo,
giro un po’ in cerchio poi faccio un
otto
cinque minuti e mi son già
rotto,
passo su passo vado di
fretta
come un criceto, nella
gabbietta.
Mi vien difficile
trovar la giusta rima
ma, decisamente,
stavo meglio prima
e con tutto
quello che ho passato
non vorrei ora
esser in-corona-to
mi spiacerebbe
se un augurio o un elogio
dovessero
diventare un necrologio.
Antica è la canzone
che parla d’amore,
ma sempre nuova
e sempre nuova nasce,
al solo sussurrare
del tuo nome.
Antica di novelle,
di battaglie
di fieri cavalieri
d’acciaio ricoperti,
di pallide dame,
di maghi e di folletti,
di fieri paladini,
di buffoni,
di menestrelli,
di fragili fatine.
Antica più di mille mondi,
di mille fantasie,
di mille inverni
e nuovamente torna
a sussurrare,
vecchie parole nuove,
in nuovi tempi
a un altro cuore
di nuovo, eterna.
Ed il grillo parlante
ancora appare
a un nuovo
irresponsabile Pinocchio
dona consigli e dice:
“Lo sai
non si può fare,
non è più il tuo tempo.
Per colpa della gente
o del destino,
hai perso il tuo momento.
Non puoi, dai,
lascia stare.”
E la canzone antica
un po’ s’ammoscia,
perde le note e
comincia a stonare.
Ma poi chiudendo gli occhi
ecco che appare
di nuovo il volto tuo
e di nuovo ancora,
tra mille cavalieri e dame,
dentro a castelli
di vivido cristallo,
in forte coro
riprende ancora
la canzone antica e sale,
e le sue note
più limpide e più pure
volano in alto
coprendo ogni rumore.
E ancora il saggio grillo
da dentro
il mio cervello
fa udire la sua voce,
mi chiede scusa e dice.
“Insisti, fallo
forse non è ancor tardi,
forse può ancora capitare,
prova.
Se è amore vero,
è bello”
Come sarà,
quando non sarò più.
Quando non sarà più giorno
ne sarà più notte
non sarà più luce
ne sarà più buio.
Quando
non ci saran più lotte,
non più battaglie
vittorie ne sconfitte.
Quando
non ci saran più suoni,
niente più dolci musiche
rumori ne frastuoni.
Quando l’oggi
non sarà più ieri
e neppur domani,
quando non vedrò i tuoi occhi
ne stringerò più le tue mani,
Quando non udirò più
la tua voce, ne il tuo canto,
un rimpianto solo
non esserti più accanto.
Se un giorno te ne andrai
stanca di noi,
io ti saluterò
come se fosse
solo per un attimo,
ti stringerò la mano
sorridendo,
poi volgerò le spalle
e me ne andrò, in silenzio
piano piano rientrerò
dentro a quel mondo
all’improvviso vuoto.
Poi, passerò il mio tempo
ricordando
di certo piangerò ma,
di nascosto.
D’improvviso una sera,
una sera normale,
una noia leggera
lì, fra gente banale.
Uno sguardo nel vuoto
fisso sopra lo specchio,
d’improvviso sentirsi
all’istante più vecchio.
Ritrovarsi smarrito
fra presente e passato,
dietro a un colpo di spugna
come un secchio svuotato.
Una lacrima agli occhi,
un dolore nel petto.
una bebbia nel cuore, e
improvviso il rigetto.
Il rifiuto di tutto
la partita, il partito,
il potere, il denaro,
tutto quanto e finito
dentro il pugno serrato
resta solo il dolore
e nascosto fra i rovi
uno spicchio d’amore.
Piano volgi le spalle
e rasente ad un muro
ti allontani pian piano,
fra presente e futuro.
Improvviso ora insorge
quella voglia di stare
a guardare le stelle
ascoltando in silenzio
la risacca sul mare.
Rimpiangendo all’istante
tutto il proprio passato
realizzando di colpo
di aver sempre sbagliato.
refusi
Mi sono inginocchiato,
ho pianto, imprecato,
pregato.
Ho invocato Dio e i santi,
sono ricorso a medici,
guaritori e maghi.
I miei sogni,
sono diventati incubi.
Il mio cervello
più volte è esploso,
più volte è impazzito
nella ricerca della pace,
del silenzio,
della solitudine
privata del tuo ricordo.
Ho sentito i miei visceri
contorcersi, annodarsi,
il mio stomaco chiudersi
in una dolorosa morsa,
ed il mio cuore accelerare
i battiti sino allo spasimo,
solo
per un “Ti amo” non corrisposto.
Ma ora basta,
ora alzo gli occhi al cielo
e rido.
Rido di me
e di ciò che ho passato.
Rido, rido e ancora rido
e prendo amore ovunque
senza respiro
senza problemi
senza dar nulla in cambio,
e se ancora penso,
ti amo
so che sarà per poco.
E quando tu verrai,
perché verrai,
forse
non sarò ad aspettarti.