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Giu 18, 2008 - racconti brevi    10 Comments

Le copieur – (il copiatore) aneddoti da una vita

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Bello, sorridente, gentile, amabile, trascorreva la sua vita fra Parigi e il resto del mondo, lui M…. B….. titolare dell’omonimo magazzino e negozio posto in quel di rue de Clery era considerato a quei tempi, un genio nel suo settore. Nella vetrina del suo negozio facevano bella mostra di sè broccati, sete, tessuti fruscianti e variopinti, stampe sgargianti o delicate, quanto di meglio, si diceva, si potesse trovare. Dentro, una folla di dame, couturier di grido, sarti e sartine in certa di gloria alla ricerca di quel tessuto che consentisse loro di creare quel modello unico che li avrebbe consolidati nella gloria o portati a nuova fama. Lui cortese e gentile prestava attenzione agli uni e agli altri senza distinzione, racontando la storia che aveva portato alla nascita di un tal tessuto e quello che a suo parere sarebbe stato il suo giusto impiego. Ricordo una delle ultime volte che lo incontrai fu a Francoforte in occasione dell’edizione invernale della fiera tessile. Quando io ed i mie colleghi giunti in loco e recatici all’albergo, il Franckfurterhoff, ci rendemmo conto che la segretaria aveva sbagliato le date della prenotazione posticipandola di un giorno e che noi per quella notte non avevamo di che dormire. Praticamente impossibile trovare delle camere altrove nel raggio di una cinquantina di chilometri, le prenotazioni in quelle occasioni venivano fatte immediatamente al termine della manifestazione per la successiva. Solo con un gioco di prestigio, l’aiuto del direttore, che conoscevamo da anni ed una lauta mancia, riuscimmo ad avere le camere sostenendo che l’errore fosse della reception. Fu così che la sera sul tardi, rientrando in Hotel dopo la cena lo incontrammo sul marciapiede di fronte con la valigia in mano. ” Eila M…. ça va?” – “Pas de tous” rispose con aria afflitta, ” Mais qu’est qui se pass?” Chiedemmo. “J’ai n”ai pas la chambre – rispose – je sui etonnè, j’etait certaine d’avoir reservè” concluse poi con aria più stupita e rassegnata che arrabbiata. Lo lasciammo là, sul marciapiede augurandogli di riuscire a trovare una camera per la notte e ce ne andammo con la certezza di essere stati noi la causa seppur involontaria di quel disguido, indecisi se rammaricarcene o se scoppiare in una fragorosa risata. Il nostro senso di colpa venne attenuato il giorno dopo quando venimmo a sapere che aveva trovato una camera presso l’hotel dell’aeroporto. Ho sempre pensato di doverti chiedere scusa M…. ma non ho più avuto occasione di farlo, sono certo che tu dopo avermi guardato in cagnesco per un attimo ed avere sussurrato un ..”Je n’achete plus chez toi” saresti scoppiato in una fragorosa risata. Ricordo quando nella Hall dell’albergo in occasione di una precedente manifestazione ad un tizio che non ti conosceva che vedendoti attorniato da una folla che pendeva dalle tue labbra ai tuoi racconti e che ti chiese cosa facessi nella vita, guardandolo sorridendo rispondesti “Le copieur”. Si M….. tu hai passato la vita a copiare la natura nelle sue forme e nei suoi colori e così, come eri sempre solito fare, onestamente glie ne hai reso merito

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Apr 3, 2008 - racconti brevi    19 Comments

Il giocattolo e il gioco

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Era giunto all’improvviso, nove mesi dopo una seduta terapeutica come tante altre, fatta solo per rilassarsi un poco, per trascorrere una serata uggiosa, per giustificare una decisione presa tanto tempo prima. Una scelta molte volte rimpianta da entrambi, ma le convenzioni sociali del luogo e dell’epoca non  lasciavano alternative, occorreva salvare le apparenze, mostrare una facciata rispettabile. Da qualche anno per motivi diversi, avevano deciso entrambi  di dedicarsi alla ricerca di un figlio, lui per recuperare un poco della sua perduta libertà, lasciando lei alle prese col bambino e per assicurarsi un erede, lei per avere una ragione in più che gli garantisse il futuro e la vecchiaia. Così  in un’ancora calda serata di fine estate dell’anno 19…. era giunto lui, accolto quasi con indifferenza ed affidato da subito alle cure di una balia. Gli era stato assegnato un nome importante, un nome che tenesse fede alle tradizioni ed all’albero genealogico della famiglia. Era cresciuto così, fra le attenzioni annoiate di una madre e saltuarie presenze del padre sempre assente per ragioni di…. lavoro, nelle costanti e continue cure e attenzioni della balia e della servitù. Coccolato, viziato e ignorato. Quella che era la sua cameretta era stracolma di giocattoli, di tutti tipi, dal cavallo a dondolo al triciclo, la prima biciclettina con le rotelle, macchinine, un trenino elettrico. Erano tutti là accatastati, abbandonati dopo un primo facile entusiasmo e poi dimenticati. Fra questi un bellissimo pallone da calcio, di quelli ufficiali, quelli che si utilizzavano per le gare, con il marchio stampato a fuoco e con tutte le sezioni esagonali di cuoio sapientemente cucite a mano. Anche in questo caso il suo entusiasmo era durato il tempo di una sedia rovesciata e di un prezioso vaso frantumato a terra, senza che un rimprovero gli fosse mai stato fatto. Fu così che un giorno, mentre sul terrazzo di casa annoiato come sempre prendeva visione del giocattolo appena regalatogli, udì provenire da sotto un allegro vociare, grida e risate di bambini. Si affacciò al parapetto e scorse, nel prato che fronteggiava casa sua, una torma di bambini che nella foga del gioco rincorreva un pallone. La sua attenzione fu attratta dal pallone, era vecchio, di quelli di plastica, rimbalzava male ed ad ogni calcio che riceveva si ingobbiva sul lato. Sì ricordò allora del pallone abbandonato là assieme agli altri giochi nella sua cameretta, il suo bel pallone di cuoio ancora nuovo, il mio è più bello pensò.  Preso dal ricordo e dall’entusiasmo si alzò in piedi corse in cameretta e si impossessò del pallone, poi stringendolo fra le mani corse giù per le scale e si diresse verso il prato dove gli altri bambini stavano giocando. Giunse sul prato trafelato, ansante, con un sorriso di orgoglio sulle labbra, il pallone stretto fra le mani proteso verso gli altri bambini, guardate pensava guardate il mio pallone che bello. I bambini vedendolo giungere di corsa, si fermarono e vedendo il pallone nuovo che stringeva fra le mani sorrisero felici. “Ei un pallone nuovo – esclamarono tutti quasi all’unisono – che bello, dai vieni a giocare, tira il pallone dai, vieni, vieni” Le braccia rimanevano tese, il pallone restava li stretto. Come tira il pallone? Ma il pallone è mio non lo vedete come è bello? Guardate è nuovo,  il vostro è quello brutto, tutto rotto, questo é il mio, guardate che bello, guardate. Questo era quanto passava per la sua testa e che le parole non riuscivano ad esprimere. “Allora lo tiri o no? Dai tira, vieni che giochiamo, vieni”. Ma il pallone rimaneva lì incollato fra le mani. No che non lo tiro, pensava sempre con quel sorriso d’orgoglio stampato sul viso,  è mio, è più bello, non ve lo do, me lo tengo. Gli altri bambini si guardarono un attimo, poi alzando le braccia in un gesto eloquente, girarono le spalle ripresero a correre ed a tirare calci a quella palla vecchia e rattoppata. Lui rimase lì, col pallone stretto nelle mani tese, con quel sorriso che piano piano stava scomparendo dalla  faccia. Ma perché, si chiedeva, perché se ne erano andati? Il suo pallone era più bello ed era ancora lì.

Passarono gli anni e lui crebbe, crebbe viziato e solo. Crebbe e quel nome importante che gli era stato assegnato in quel giorno lontano del suo battesimo, importante non lo divenne mai, perché quel nome, Leopoldo, si ridusse in un più banale Leopoldino, Poldino. Sì perché come quel giorno in quel prato in tutta la sua vita non gli riuscì mai di capire una cosa. Non gli riuscì di capire che l’importante era il gioco, non il giocattolo. 

 

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Mar 25, 2008 - racconti brevi    12 Comments

L’uomo nudo

Ovvero:   Ci sono foglie e foglie

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Era nudo, no,  al fine di evitare riferimenti ad altre storie è  meglio precisare subito, non era un re. Era solo e semplicemente un uomo che nudo camminava lungo un’assolata strada di campagna, una strada sterrata che costeggiava  campi, dove bassi muri di pietre a secco delimitavano coltivazioni di ulivi, fra  piccoli paesi agricoli, fattorie e casolari. Certo un uomo nudo che cammina lungo una strada di campagna non fa sensazione come se stesse camminando lungo la strada affollata  di città, ma era  pur sempre un uomo nudo e stava attirando l’attenzione di quanti a quell’ora, lavorando nei campi, si trovavano nei pressi della strada. Pertanto, adagio, adagio, iniziarono a radunarsi capannelli di persone, di soli uomini naturalmente in quanto le donne venivano allontanate immediatamente ed i bambini fatti rientrare frettolosamente in casa.  Un piccola folla si era ormai raggruppata e lentamente, quasi in corteo,  seguiva il cammino dell’uomo nudo. Attirato da quanto stava accadendo anche il parroco locale, che si stava apprestando a suonare le campane per l’annuncio del mezzogiorno, giunse sul posto vide l’uomo e ne scorse le nudità. Strabuzzò gli occhi, li chiuse, li riaprì nuovamente non riuscendo a capacitarsi, poi resosi conto di come effettivamente quell’uomo fosse nudo si precipitò, inciampando più volte nella tonaca verso quell’individuo, gridando “Si copra, si copra, non si vergogna, si copra” L’attenzione dell’uomo a quel punto fu chiaramente attratta dalle urla del prete che tutto trafelato stava correndo verso di lui e gli si rivolse, “ Coprirmi? Perché dovrei? “ rispose. “Ma come perché dovrebbe, ma non si rende conto di essere nudo?” sbottò allora spazientito il parroco. “Nudo? – fece allora l’uomo osservandosi – io sono un capo e un capo non può essere nudo”. “Nudo, nudoooooo! – urlò allora il parroco inviperito – lo chieda anche a loro!”, e con la mano indicò il gruppo di contadini che, trattenendo a stento le risate divertiti dalla piega che aveva preso la storia, assentirono col capo. “Le vergogne, si copra almeno le vergogne”aggiunse ancora. “E con cosa dovrei coprirmi – fece allora l’uomo – non ha notato che non ho nulla con me? “  Per sua fortuna il parroco aveva da tempo perso i capelli altrimenti in quell’occasione se li sarebbe strappati, “ Faccia come Adamo – ringhiò paonazzo – con una foglia, si copra almeno con una foglia” L’uomo allora osservò attorno, ulivi, solo ulivi a perdita d’occhio, poi il suo sguardo fu attratto da una pianta verde dalle grandi foglie, lontana una decina di passi lungo la strada. Vi si diresse, ostentando noncuranza, ne staccò accuratamente una foglia poi, si volse verso il prete con fare altezzoso, con un gesto distaccato, rapido e deciso andò a collocare sulle proprie vergogne la verde foglia di fico, d’india.

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Mar 9, 2008 - racconti brevi    9 Comments

Settimana bianca – incontri ravvicinati di un certo tipo

Parte quinta

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Il risveglio è come tutte le altre mattine, la luce filtra fra le tende delle finestre, resto ancora disteso raggomitolato sotto il piumone, lasciando che il mio cervello riprenda lentamente coscienza e contatto con la realtà della nuova giornata, poi lentamente e voluttuosamente mi stiro e immediatamente, in un solo microsecondo, sono completamente sveglio e sveglio anche mia moglie facendola sobbalzare sopra il letto. Il moccolo che prorompe con forza dalle labbra mi riporta alla dolorosa realtà, sì dolorosa perché la parte sinistra del mio corpo sembra abbia subito l’impatto con un gatto delle nevi talmente è indolenzita e legata. Il pensiero risale alla giornata precedente e l’accaduto torna di prepotenza alla memoria. Il passaggio in farmacia, il rientro all’appartamento, la cena,  pizza da asporto che la moglie era gentilmente uscita a prendere, con un paio di birrette, per evitarmi ogni affaticamento.La lettura delle istruzioni del medico e della posologia dei farmaci,  “Una bustina e una compressa dopo i pasti”,  citavano entrambe, già, ma mica precisavano quanti pasti. Colazione, bustina e compressa. “Te la senti” mi chiede mia moglie osservandomi dubbiosa e preoccupata. Accenno a qualche movimento, il braccio non vuole saperne di alzarsi oltre la spalla, la cassa toracica mi procura delle fitte quando, dimentico, compio bruschi movimenti, (prego non mi venga la tosse), la gamba sinistra avanza con difficoltà, sopra un anca che sembra scricchiolare ad ogni movimento, i medicinali non hanno ancora fatto effetto. “ Si prova” rispondo guardando fuori dalla finestra, la giornata che si annuncia è stupenda, come dovrebbero essere le altre a seguire e non ho nessuna intenzione di trascorrerle sul divano a guardare la tv o a letto. “ Se proprio non mi sarà possibile rimarrò tranquillo sul terrazzo di qualche rifugio a prendere il sole e a scattare qualche foto e tu potrai sciare” commento. Piano e con calma ci si avvia verso gli impianti, di San Cassiano naturalmente, il Plan de Corones immagino dovrà scordarsi a lungo della mia persona.

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Giunti al parcheggio inizio a calzare gli scarponi, l’antidolorifico inizia a fare il suo effetto ed i movimenti si fanno più fluidi e meno contratti, lentamente cercando di non scivolare percorro la distanza che separa il parcheggio dalla pista, la spalla fa male se forzo, l’anca mi consente brevi passi senza procurarmi dolore, calzo gli sci e mi appresto ad affrontare il breve tratto di discesa che mi separa dalla partenza degli impianti, primo banco di prova. Con mia grande sorpresa mi rendo conto di riuscire a sciare senza troppe difficoltà, il movimento fatto sullo sci, certo senza forzare, non mi provoca dolore ed un barlume di speranza comincia ad affacciarsi nella mia mente, subito offuscato dai fatti successivi. Togliere gli sci, piegarsi per raccoglierli, camminare con sci e racchette per percorrere quella ventina di metri che mi separano dalla cabinovia mi costano uno sforzo non indifferente e i muscoli ammaccati si fanno sentire. All’arrivo  problema si presenta nuovamente, raccogliere gli sci, scendere,  portarsi a lato e calzarli, poi dover racchettare, sci ai piedi, ancora per una ventina di metri, cercando di non  scivolare di lato per evitare strappi e fitte, spingendomi in avanti solo con la racchetta destra. Non sono pochi i minuti che impiego per raggiungere il primo pendio che porta alle piste di discesa. Evito di proposito la pista di destra, è una rossa e almeno per il momento non vorrei  prendermi degli inutili rischi e mi dirigo a sinistra, qui inizia una pista blu di non più di trecento metri, a quest’ora ancora tranquilla e poco frequentata, guardo mia moglie che mi osserva preoccupata, le sorrido, strizzo l’occhio e con un cenno della mano le indico, andiamo. Quando giungo in basso sono felice, sì, difficile spiegare la gioia per avere percorso quei trecento metri sciando tranquillamente quasi senza problemi facendo attenzione solo a non forzare troppo nelle curve ed ad evitare il passaggio frontale sulle poche cunette presenti. In basso mi sono diretto automaticamente verso la seggiovia che porta al rifugio, ci sono giunto tranquillamente scivolando sugli sci rallentando leggermente e senza alcuna fatica, il fatto mi suggerirà il comportamento e le scelte che effettuerò nell’arco della giornata e di tutte le giornate successive. Aspetto mia moglie che arriva, mi guarda e subito vedendo la mia espressione sorride sollevata. In alto ci fermiamo a prendere un caffè lasciando gli sci a terra sulla neve proprio di fronte al rifugio, ci sediamo fuori sul terrazzo al sole e decidiamo quello che sarà il programma della giornata e delle giornate seguenti.

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Definiamo un paio di percorsi che snodandosi entrambi lungo una decina di piste siano tutti serviti da seggiovie facilmente  raggiungibili al termine delle discese, senza la necessità di racchettare e senza dover togliere gli sci ogni volta. Così trascorro le altre giornate della settimana bianca, sciando lungo percorsi predeterminati e non troppo impegnativi ma comunque felice di poterlo fare, fermandomi di frequente per bere un caffè o una birra, per mangiare sempre ottimamente nei vari rifugi posti lungo il percorso  e per scattare delle foto visto che le stupende giornate me lo consentono. Certo sono stato costretto a rinunciare ad una parte del mio programma, ho dovuto semplicemente scordarmi di quelle piste che mi ero programmato di affrontare negli ultimi giorni, nelle mie condizioni il rischio sarebbe stato troppo grande, ma  sono felice così, con l’ausilio de qualche bustina e compressa in più sono comunque riuscito a sciare tutti i giorni rimanenti della mia settimana bianca e francamente non ci speravo più dopo quanto accaduto. Anche le serate trascorrono piacevolmente seduti nei ristorantini della valle di fronte a piatti tradizionali o tipici locali ed a delle bottiglie di ottimo vino, particolare il sabato sera alla Stria di Colfosco,  tris di paste fresche, ai formaggi, ai funghi ed al ragù di capriolo, sella di cervo in salsa e verdure grigliate, per terminare con un semifreddo di mirtillo al miele, cosa vuoi di più dalla vita? Domenica mattina in auto mentre torniamo verso casa, ricordiamo quanto accaduto nei giorni trascorsi, ridendo, malgrado le fitte al torace ed al fatto di dover continuamente cercare una posizione diversa alla guida a causa della gamba, di quando accaduto il mercoledì al Plan ed  innalzando al titolo di Gatta di Marmo, l’inqualificabile colpevole dell’accaduto. Poi  come sempre ci capita durante il ritorno senza quasi accorgercene iniziamo a programmare quella che sarà, speriamo,  la settimana bianca del prossimo anno. Certo durante la stagione si andrà ancora a sciare nei comprensori sciistici poco distanti da nostro luogo di residenza, saranno anche giornate divertenti, ma non potranno essere assolutamente la medesima cosa. Ciao dolomiti, alla prossima.

                           

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Fine

 

Mar 2, 2008 - racconti brevi    22 Comments

Settimana bianca – Incontri ravvicinati di un certo tipo

Parte quarta

b697811f5d793cb7b589099806988502.jpgAnche questa volta le previsioni meteorologiche non hanno sbagliato di una virgola, è quanto penso, mentre alla guida dell’auto mi dirigo a valle, osservando quel cielo di un blu intenso. Sì stiamo scendendo e non salendo, nooo, non perché siamo in procinto di tornarcene a casa, è mercoledì, solo il terzo giorno delle nostra settimana bianca, ma perché ieri sera durante la cena di fronte ad un piatto fumante di spezzatino di manzo al vino rosso e spatzli, abbiamo deciso di recarci a sciare al Plan de Corones. Per questo ci stiamo dirigendo verso Piculin qualche chilometro più sotto nella valle, dove da un paio anni è in funzione la nuova cabinovia che collega la Val Badia con San Vigilio di Marebbe ed al relativo comprensorio sciistico di Plan de Corones. Sono appunto due anni che manchiamo dal Plan, luogo dove una ventina di anni fa avevamo iniziato per una strana combinazione di fatti la nostra lunga frequentazione turistica in Alto Adige e nelle dolomiti. Per tantissimi anni avevamo sciato su quelle piste ed avevamo osservato il Plan crescere, cambiare, attrezzarsi al punto di diventare uno dei più moderni comprensori sciistici d’Europa, con tutti i pregi ed i difetti che il fatto comporta. Così dopo una decina di minuti d’auto arriviamo al parcheggio prospiciente l’impianto di risalita, il solito rito della calzata degli scarponi, si prendono gli sci e via, si sale. Dalla cabinovia osserviamo la pista che scorre sotto di noi, quella che dovremmo affrontare la sera rientrando, è una nera ed all’apparenza abbastanza impegnativa, ma non ci sono problemi a seconda della voglia o delle condizioni delle gambe, al rientro decideremo se scendere con gli sci o se più semplicemente accomodarci nuovamente in cabina.
0dd7b277842b2a24954f349e6af37dce.jpgGiunti sulla cima del Piz de Plaies veniamo accolti dalla scultura metallica stilizzata del gallo, simbolo del comprensorio sciistico, calziamo gli sci e ci dirigiamo verso la pista che porta giù a San Vigilio, la neve sulla pista è tirata come un biliardo e subito ci torna alla mente una delle ragioni per cui avevamo deciso di evitare il Plan. Passando fra gruppi di persone che si accalcano lungo la pista, costringendoci quasi ad effettuare degli slalom per proseguire (al parcheggio erano presenti numerosi pullman turistici), continuiamo a scendere rammentandoci la seconda ragione causa delle nostre ultime assenze dal luogo. Già nulla è cambiato, sono state aggiunte nuove piste, anche gli ultimi impianti di risalita sono stati ampliati ed modernizzati, ma proprio per questo i problemi si sono acuiti, troppa folla sulle piste, troppa gente che scia per la prima volta in compagnia di gente che scia da sempre e che li porta all’emulazione, con tutti i rischi che questo comporta. Questo è uno dei problemi, l’altro è la sua logica conseguenza e sono le piste. Sì, perché per poter sostenere l’elevato numero di persone che le percorre, le piste sono tirate come piste da gara, la neve artificiale battuta sino all’inverosimile e bagnata per consentire la praticabilità delle piste per tutto l’arco della giornata e poi più tardi una più facile e rapida manutenzione. Ce ne siamo resi conto già alla prima discesa, sentendo la neve gemere fortemente sotto gli sci, stridere quasi, non abbiamo fatto le lamine e si sente, non si era reso necessario sciando su neve naturale, qui invece occorrerebbe averlo fatto. Salendo e scendendo dai vari impianti attiviamo sulla cima del Plan e anche se all’apparenza sembra meno affollato degli anni precedenti, forse solo a causa dell’ora, risulta sempre gremito e  prima di iniziare ogni discesa occorre far molta attenzione a quanti tagliano in diagonale la cima per dirigersi alle varie piste. Decidiamo di scendere lungo l’Alpen per fermarci a prendere un caffè alla Pracken è una pista poco impegnativa che ci consentirà di adattarci a questo tipo di neve cambiando un poco il modo di sciare, si dovrà stare di più sugli spigoli e sarà una giornata faticosa. Poi traversiamo la pista per portarci tramite un sentiero di collegamento sulla Olang (Vald’Aora), la pista che scende giù verso l’omonimo paese in fondo alla valle, ci fermiamo al Lorenzi e decidiamo di risalire, perché sotto, ad ogni cambio di pendenza muri umani, fermi immobili in attesa di ripartire, costringono chi scende  a fare la medesima cosa. Torniamo sulla cima e scendiamo lungo la Marckner, anche qui la folla si assiepa ai lati della pista, ma i cambi di pendenza sono meno numerosi e il divario meno ripido quindi si riesce a transitare tranquillamente o quasi, mentre gli sci stridono e la gambe iniziano ad essere indolenzite dalla tensione. Siamo venuti sino a qui per andare a fare la Silvester, una pista nera di circa 6 km che scende dalla cima giù sino a Riscone, Brunico, ma ora non ne siamo più tanto convinti, la condizione della neve e la folla presente ci pongono qualche dubbio, decidiamo comunque di provare, male che dovesse andare e se non dovessimo sentircela di proseguire, potremmo sempre decidere di fermarci all’intermedia per poi risalire. Scendendo ci rendiamo conto che la neve qui sembra migliore, compatta ma meno ghiacciata. La pista non è molto praticata a quest’ora, si trova ancora in ombra e fa abbastanza freddo,  questo spinge la maggior parte delle persone a sciare sugli altri versanti esposti al sole, così senza esagerare e senza forzare decidiamo di continuare e di arrivare sino in basso, giungendovi dopo una ventina di minuti, dopo alcune soste per riposare le gambe e non senza qualche difficoltà sempre a causa della neve ghiacciata in alcuni tratti. Risaliti sul plan ci fermiamo a bere qualche cosa, sono oramai le 11 passate e dobbiamo decidere cosa fare.
5cb5a90f6eaee37ea55d8761049f5d00.jpgCi tratteniamo tranquilli per una mezz’ora e poi dopo avere scattato alcune foto decidiamo di ridiscendere verso San Vigilio e di farmaci alla Miara sulla pista omonima, il ricordo di un ottima polenta formaggio e funghi ha condizionato la nostra scelta. Così ci avviamo e dopo avere aggiunto al percorso una discesa sulla da Pre da Peres, poco dopo le 12 arriviamo alla baita. La polenta è proprio come la ricordavamo, seduti sul terrazzo esposto al sole, gustiamo lentamente il nostro piatto, e poi visto la temperatura gradevole ci attardiamo rilassati d’avanti ad un caffè caldo ed ad una grappa al mirtillo. Sono quasi le 14, quando ci rimettiamo sugli sci, saliamo per percorrere nuovamente la pista che ci ha condotti qui, per poi scendere lungo l’ultima pista che, quasi in falsopiano, conduce in paese. L’idea è quella di risalire sul versante opposto della valle ed affrontare, abbastanza riposati,  la nera che ci condurrà sino al parcheggio dell’auto e fare poi rientro. Ci sono due cose che l’esperienza mi ha insegnato da quando vengo a sciare da queste parti, evitare nei momenti di maggiore affollamento le piste troppo difficili e quelle troppo facili, entrambe pericolose per motivi diversi, le prime perché basta un minimo errore, una piastra di ghiaccio ed anche un provetto sciatore può trovarsi in difficoltà e per quegli sciatori meno che mediocri che non vogliono tornarsene a casa senza avere raccontato agli amici di avere fatto quella pista. Le seconde perché frequentate da principianti che calzati per la prima volta gli sci, dopo una mezza giornata si sentono già dei campioni scendendo in posizione uovo marcio, senza accennare mai alla ben che minima curva rischiano sempre di travolgere qualsiasi cosa gli si pari davanti. Purtroppo in alcuni casi si tratta di piste di collegamento obbligate e non possono essere evitate. Dopo esserci attardati accanto ad un recinto posto a lato della pista per scattare delle foto ad alcuni struzzi riprendiamo a scendere, sciando tranquilli con qualche scodinzolo.
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Lo stridio della neve alle spalle, mi giunge nitido alle orecchie, il tempo di realizzare cosa stia per accadere, il tentativo disperato di scartare di lato cercando di intuire la direzione, ma è già troppo tardi. Mi ritrovo lungo stirato per terra, la faccia affondata nella neve, una gamba piegata sotto con lo sci agganciato, mi ci vuole qualche istante per realizzare quanto sia successo, alzo gli occhi un attimo per visualizzare la figura di una donna in tuta bianca e gilerino giallo che, senza nemmeno voltarsi a guardare, prosegue nella sua corsa. “Fermati, fermati, fermati cretinaaaaaaaaaaaaaaaaaaa “ l’urlo mi esplode dalla gola, mi risuona nella testa e per un attimo sembra che l’eco si diffonda rotolando lungo la valle. Mia moglie mi si è affiancata preoccupata, “Come stai?”,  mi chiede, “Bene, – le rispondo trafelato – rincorrila, dai fermala, vai”, “E tu?”, “Io sto bene vai, mi sistemo e arrivo”. Nel frattempo attorno si è formato un gruppetto di persone, chi mi porge il berretto, chi gli occhiali, un altro si avvicina con lo sci e la racchetta mancanti, sono stranieri, tedeschi, mi guardano,  scuotono la testa e indicando verso valle uno di loro commenta  “Kriminale, polizei”, sorrido li ringrazio,  sistemo occhiali, berretta calzo lo sci e come un forsennato riprendo la pista alla ricerca di mia moglie e di chi mi ha travolto. La raggiungo a fine pista, mi vede arrivare e mi segnala con la mano la tizia in tutta bianca che sta facendo capannello con un folto gruppo di altre persone, “Slavi – dice – mi ha risposto, io non capire”.  Mia moglie coglie al volo l’espressione del mio volto e mi si para d’avanti, sono esasperato, lei se ne rende conto e cerca di trattenermi, “Fai attenzione – mi dice – non sai quali reazioni puoi provocare” Cerco di calmarmi un attimo, poi mi avvicino la guardo e chiedo spiegazioni cercando di farmi capire, il suo gruppo le si serra attorno, mi guarda e mi risponde, “Io non capire”. Sono come una pentola a pressione a cui si sta rompendo la valvola, mentre mia moglie mi blocca per la manica, anzi si vede costretta a tirarmi all’indietro per impedirmi di saltarle addosso, “Capisci – le rispondo – capisci benissimo”. Fa un sorriso che sembra una smorfia e aggiunge “Deutsch, spreken deutsch”. Mi guardo attorno, poco distante scorgo un addetto agli impianti, gli faccio un cenno, mi si avvicina e spiegandogli l’accaduto gli chiedo di fare da interprete con la signora, lui si presta gentilmente. Così dopo avere confabulato per qualche minuto si volge verso di me e dice “ Scusi, ma la signora afferma che la colpa è sua”, prevedibile penso, “ E sì, – ribatto – chiaro che la colpa è mia, non avrei dovuto trovarmi sul suo percorso. Gli chieda come mai se la colpa era mia, io sono finito disteso e lei ha continuato tranquillamente la sua corsa. Anzi gli chieda perché, ragione o torto, non sì è fermata per verificare l’accaduto e controllare se eventualmente mi fossi fatto male”. Silenzio, alla domanda tradotta dall’ addetto, non giunge alcuna risposta, solo lo sguardo vaga sulle facce di quanti gli stanno attorno chiedendo sostegno. In quel momento mi sento tirare per la giacca, è mia moglie che nel frattempo si era allontanata che ora è tornata accompagnata da due carabinieri,  avendoli visti arrivare con la motoslitta  si era affrettata a chiamarli pregandoli di intervenire. Spiego nuovamente loro l’accaduto, sono locali e parlano correttamente sia l’italiano che il tedesco, si rivolgono nuovamente alla tizia in questione chiedendo spiegazioni e a questo punto l’atteggiamento cambia. Dopo avere lanciato degli sguardi a quanti l’accompagnano, risponde che no, che non è stata lei, che l’ho confusa con qualche altra, che lei e gli altri erano tutti quanti al bar a bere e che erano appena arrivati, che dell’incidente non ne sa nulla, con gli altri che fanno cenni affermativi con la testa per confermare. Vedo la faccia sorpresa dell’addetto, che guarda i carabinieri con aria sconsolata all’allargando le braccia, ascolto i carabinieri tradurmi la nuova versione di quella signora, mentre dalle labbra strette sfugge mi un “Brutta stronza deficiente”.  mentre nella mia mente l’immagine delle mia mani strette attorno al suo collo e dei suoi occhi che strabuzzano contribuisce a sbollire la mia rabbia. I carabinieri mi guardano imbarazzati, facendo finta di non avere udito, “Vuole sporgere denuncia ?”, mi chiedono. Improvvisamente mi sento svuotato, so comunque, come ho avuto modo di verificare in passato, che anche una denuncia in questo caso non avrebbe alcun seguito e all’apparenza non mi sono fatto nulla, “No – rispondo – non avrebbe senso”. Saluto,  ringrazio e mi allontano, meglio dimenticare in fretta l’accaduto. Riprendiamo l’impianto che ci porterà nuovamente al Piz de Plaies, discutendo tra di noi sull’accaduto e con qualche battuta arriviamo persino a riderne. Siamo quasi giunti in cima, l’intenzione è quella di affrontare la discesa, ma rimane solo un intenzione. All’arrivo della cabinovia mi appresto a scendere le racchette nella destra, prendo gli sci con la sinistra e un mezzo moccolo mi esce dalle labbra mentre trattengo un urlo di dolore. Mia moglie si volta mi guarda, mi chiede che cosa abbia. Passato l’attimo, cessata la rabbia, i muscoli rilassati e raffreddati cominciano a reclamare per l’impatto non richiesto, la spalla fa male, il braccio non riesce a reggere il peso degli sci e neppure a sollevarsi  oltre l’altezza gomito, l’anca inizia a dolere e la gamba non ne vuole sapere di fare dei passi più lunghi di dieci centimetri. Niente discesa, afflitto salgo sull’impianto che ci porterà a valle e da lì con l’auto, guida mia moglie io non sono in grado, ci dirigiamo verso l’ospedale di Brunico al pronto soccorso. Il medico, dopo avermi visitato ed avermi iniettato nella schiena cinque cc di antidolorifico, compila un paio di ricette ed  il referto.  Contusione e abrasione  parietale sinistra. Contusione scapolare sinistra con distorsione del bicipite e incrinatura della sesta costola. Contusione anca sinistra, distorsione del quadricipite e relativa pubalgia. Leggo il referto e chiedo “Certo che sia tutta roba mia?” mi osserva corrugando le sopraciglia poi sorride commentando “ La sua settimana bianca si è conclusa oggi, mi spiace”. Questo lo crede lui.

 

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Feb 18, 2008 - racconti brevi    24 Comments

Settimana bianca – Incontri ravvicinati di un certo tipo

Parte terza

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Le previsioni del tempo non hanno sbagliato, è quello che penso di mattino caricando gli scarponi sull’auto. Il cielo è grigio, ma non velato come ieri, no, è di un grigio pensante di nuvoloni pronti a depositare sul terreno fiocchi e fiocchi di neve, mi chiedo per quale ragione abbia preso con me la macchina fotografica, ma ormai c’è e non ho voglia di riportarla in camera, male che vada rimarrà nel baule. Saliamo in auto e ci dirigiamo comunque verso il parcheggio alla partenza della cabinovia, la decisione è di sfruttare interamente ogni giornata della settimana, sino alla nostra capacità massima di affrontare il tempo ed alla eventuale impraticabilità del campo, le piste naturalmente, mentre saliamo discutiamo dove potremmo eventualmente dirigerci qualora il tempo non ci debba consentire di sciare ed optiamo per Brunico, più vicina. Giunti però al parcheggio ci accorgiamo che qualche cosa sta cambiando, in quota, un probabile forte vento sta aprendo larghi squarci fra le nubi da dove penetrano, da vivaci macchie di azzurro i raggi di un sole mattutino. Mi rendo conto che se forse non sarà una giornata stupenda per lo sci, sicuramente lo sarà per le foto e, ringraziandomi per avere deciso di portare in ogni modo la macchinetta fotografica con me, inizio da subito a scattare le foto. Saliamo, il programma del giorno, approntato nel corso della precedente serata, prevedeva il trasferimento, naturalmente a “bordo” degli sci e seguendo i percorsi delle piste, giù sino alla Val Gardena. Il tempo come detto ora è incerto, folate di vento alternano, su in altro, densi nuvoloni scuri e azzurre macchie di cielo, che consentono ai raggi di sole di disegnare anche sulla neve un quasi identico mosaico, male che vada avrò avuto la possibilità di scattare foto stupende, spero almeno che, alla fine, tali risultino. Decidiamo quindi si seguire il percorso prefissato, scendiamo tranquilli lungo la pista che porta a Corvara, quindi prendiamo la seggiovia che conduce su verso il passo Gardena, fermandoci prima a Colfosco. Qui decidiamo salire su alla baita Col Pradel a prendere un caffè. Lo baita posta sopra ad un balcone naturale di roccia offre uno spettacolo stupendo su tutta la Val Badia sia verso il passo Gardena che sul lato opposto verso il passo Campolongo che la collega ad Arabba, di fronte, che sembra quasi di poterlo toccare con le mani, imponente appare il massiccio del gruppo del Sella. Dopo il caffè ripartiamo, non saliamo spesso in questa baita, per il semplice motivo che poi ci aspetta per la discesa, una pista nera breve ma che al solo affacciarti fa venire i brividi, certo si potrebbe optare per la più tranquilla blu che la costeggia lateralmente, ma la tentazione prende il sopravvento ed immancabilmente ci porta ad affrontare la nera. Oggi la neve è bella, non sono ancora scesi in molti ed il manto è quasi intonso e la pista, anche se impegnativa, diventa quasi divertente, certo, devi guardare poco oltre  la punta dei tuoi sci e non guardare in basso, perché se guardi in basso poi ti fermi e se ti fermi è dura ripartire. Comunque scendiamo  senza eccessivi problemi ed arrivati in basso col fiatone ma tranquilli, guardiamo su, verso il punto da cui siamo partiti e ci diciamo, con un po’ di orgoglio, siamo stati bravi. Nei prossimi giorni ci aspetteranno piste impegnative, la Gran Risa, la Sass Long, la Porta Vescovo e questo è stato il giusto banco di prova. A questo punto, pensando alle piste, mi ricordo di avere promesso ad un’amica che, per questo giorno speciale, avrei provveduto a dedicarle una pista una con la relativa discesa ed allora, visto che è ancora presto, risaliamo verso la parte opposta alle Forcelles da cui si diparte l’omonima pista, credo sia la pista adatta,  una rossa veramente divertente che alterna strappi di pendio a brevi falsipiani,  così, dopo averla percorsa in modo tranquillo come penso avrebbe fatto la persona a cui è indirizzata la dedica, ci lasciamo andare quasi in libera nell’ultimo tratto di falsopiano per ritornare agli impianti che ci immetteranno nuovamente nel circuito dei passi e salire come programmato, su al passo Gardena e scendere poi lungo la pista direttamente a Selva. La Dentercepies come sempre, anche nei periodi di bassa stagione è affollatissima, più volte ci vediamo costretti a fermarci ai lati della pista aspettando che sfolli, l’alternativa sarebbe di mollare gli sci se non proprio a testa bassa ma con un ritmo elevato e lasciarsi alla spalle la folla, ma il rischio è alto, troppa gente che a malapena riesce a condurre gli si trova lungo il percorso e di questi è sempre difficile prevedere percorso e reazioni, quindi occorre solo avere pazienza.
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Nel frattempo il cielo si è interamente coperto, le nuvole si sono fatte basse sulle cime ed inizia a nevischiare, guardiamo l’orologio, sono le 11,30. Decidiamo quindi di interrompere lì il percorso e di risalire per fermarci a mangiare qualche cosa alla baita Jimmy, sul versante che ci riporterà di nuovo in Val Badia. Scesi dalla cabinovia ci affrettiamo a raggiungere il rifugio, quando il tempo in montagna verte a brutto bisogna affrettarsi, giungere al rifugio dopo la mezza vorrebbe dire rischiare di non trovare un posto libero e considerando che le terrazze esterne a causa del tempo si rendono impraticabili, anche le attese, per mangiare qualche cosa, diventano estenuanti. Giungiamo infatti alla baita in tempo utile, prendiamo posto in un tavolino d’angolo accanto alla stube, è solo questioni di attimi ed il rifugio è immediatamente affollato, i tavoli presi d’assalto, due turisti, tedeschi scopriremo poi, ci osservano, verrebbero prendere posto al nostro tavolo ma non osano chiedere, da loro sarebbe una cosa normale, ma sanno che da noi esistono usanze diverse. Il tavolo è grande, li invitiamo a prendere posto, ci ringraziano e sorridono, alla fine finiranno per offrirci un grappino, che mi vedrò costretto, per cortesia naturalmente,  a ricambiare. Aspettando che ci venga servito quanto ordinato scambiamo qualche parola con i nostri ospiti, noi in uno stentatissimo tedesco, loro in un altrettanto stentato italiano, scopriamo che sono di Monaco e che vengono sovente a sciare sulle Dolomiti perché, dicono, il posto è “viele schone”, bellissimo e da Monaco non dista poi molto. Sempre nell’attesa che il pranzo venga servito, immagino di poter dedicare anche ad atre amiche ed amici qualche discesa nell’arco della giornata, tranne ad un paio, che da quanto mi parso di capire poco apprezzino la montagna soprattutto se coperta di neve, beh vorrà dire che dedicherò loro quella carbonara  fumante che proprio in quell’istante ci viene posta sul tavolo dentro al tegame.

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Ci tratteniamo nel rifugio più del solito chiacchierando, si fa per dire, con i nostri commensali e scolandoci le grappe Williams ed al mirtillo sino a che, guardando fuori dalle finestre, ci rendiamo conto che ha smesso di nevicare e che fra le nubi nuovamente filtrano raggi di sole, salutiamo quindi e torniamo fuori. Il vento in alto a ripreso a soffiare ed il panorama. conteso fra la luce che filtra e le ombre assume un aspetto molto particolare,  pertanto ci intratteniamo ancora qualche minuto a scattare delle foto e poi riprendiamo la discesa. Ancora una volta per una decina di minuti siamo solo noi a sciare su di una pista perfettamente innevata e quasi senza tracce di altri passaggi, sino a quando non giungiamo ad immetterci nel solito circuito, ritrovandoci ancora una volta sommersi dalla folla e così scortati ci dirigiamo nuovamente verso Corvara. Prendiamo posto sulla seggiovia di collegamento,  poi su di un altra impianta e dopo un breve tratto con gli sci raggiungiamo la cabinovia che ci condurrà al Col Alt. Sono passate le 14.30 quando rimettiamo gli sci ai piedi decidiamo pertanto di rientrare verso San Cassiano ma scegliendo il percorso più lungo che offra la possibilità di percorrere il maggior numero di piste possibile, il tempo cambia nuovamente e su una di questa ci coglie la neve, per fortuna siamo quasi arrivati. Giunti al residence per curiosità chiedo alla signora se per caso in zona non esista un internet point, mi guarda sconsolata, “Non che io sappia” mi risponde, poi continua “Se vuole le posso far utilizzare per un attimo il computer di mia figlia, sempre che lei sia d’accordo – aggiunge – e molto gelosa delle sue cose” La ringrazio e dico che non mi sembra il caso, ma lei insiste pertanto mi vedo quasi costretto a seguirla in una stanzetta adiacente dove una ragazzina bionda, immagino sui quattordici anni,  sta armeggiando con il mouse, alla richiesta della madre mi guarda sospettosa e poi mi chiede “Cosa ci devi fare?” le rispondo che vorrei semplicemente inviare degli auguri ad un amica, mi guarda, sorride “Allora fai pure” dice mi da alcune indicazioni e poi si allontana con la madre lasciandomi il pc a disposizione. Confesso di avere avuto non poche difficoltà ad inviare il messaggio in forum e gli auguri, senza gli occhiali e con una tastiera che ha decisamente un aspetto diverso da quello che ricordavo, le posizioni delle lettere non corrispondono ed i primi cinque minuti li trascorro a cercare la chiocciola, faccio il tutto in fretta, non voglio approfittare troppo della cortesia, ed invio i messaggi senza controllare, tanto immagino, sono abituati a tradurre i miei abituali refusi, tradurranno anche questi. Solo al ritorno mi renderò conto di avere scritto in longobardo. Ringrazio la signora e la figlia per la cortesia e salgo in camera, una doccia veloce e poi sul letto a riposare, questa sera fuori, cena ladina.

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Feb 7, 2008 - racconti brevi    19 Comments

Settimana bianca – Incontri ravvicinati di un certo tipo

parte seconda
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Non è neppure necessario mettere la sveglia, da queste parti solitamente ci si sveglia prima che suoni, anche per il fatto che non ci si corica mai troppo tardi. Apro gli occhi e guardo mia moglie, anche lei è sveglia mi guarda e sorride, “Andiamo?” le chiedo, “Aspetta – mi risponde – sono da poco passare le sette e gli impianti non aprono prima delle nove, non ha senso arrivare troppo presto”. Ha ragione pertanto chiudo gli occhi e cerco di riprendere ancora il sonno. No, la cosa non funzione, dietro le tende, che coprono le finestre della camera, la luce filtra all’interno ed allora mi alzo, vado nel soggiorno scosto le tende ed osservo il cielo, peccato, quello che scorgo non mi entusiasma, una cortina uniforme di nuvole alte copre il cielo rendendo la giornata grigia. Strano le previsioni avevano annunciato il bel tempo e parlavano di annuvolamenti solo per la tarda giornata di martedì. Non fa nulla mi dico, non sarà per questo che rinuncerò alla prima sciata della stagione, lentamente, dopo avere acceso la tv ed averla sintonizzata su di un canale locale che trasmette i dati riguardanti il tempo, alle temperature e alle condizioni della neve comincio a preparare l’occorrente per la giornata. Tute, scarponi, mi assicuro di avere gli ski pass settimanali, preparo anche la macchina fotografica, nonostante la velatura del cielo che non mi entusiasma per nulla decido di portarla ugualmente. Nel frattempo si è alzata anche mia moglie, ci prepariamo scendiamo a colazione e poi preso l’occorrente sala in macchina per dirigerci agli impianti, potremmo farlo anche a piedi, la partenza del primo impianto, la cabinovia che sale da La Villa sopra alla Gran Risa sino ad arrivare al Piz La Ila, non dista più di duecento metri dall’appartamento. Ma duecento metri con gli scarponi ai piedi e gli sci in spalla diventano sempre una tortura, soprattutto la sera al rientro, ed è dagli anni precedenti che abbiamo deciso che il punto di partenza per le nostre escursioni sarebbe stato San Cassiano, una decina di chilometri più avanti dove un grande parcheggio affianca proprio una pista di discesa e dove basta percorrere pochi metri a piedi per giungere sulla neve delle piste calzare gli sci e poi dopo un  primo breve tratto di pista, giungere immediatamente alla cabinovia del Piz Sorega.  Si parte, lascio la macchina fotograficha in auto, la giornata non promette nulla di buono, riproponendomi di passare a riprenderla più tardi qualora il tempo dovesse migliorare. Partiamo, cautamente si affrontano le prime curve che scendono alla partenza dell’impianto, adagio per controllare la reattività delle gambe e il comportamento degli sci, tutto regolare si riacquista in un attimo quella confidenza che avevamo lasciato sulla neve quasi un anno fa durante l’ultima giornata e raggiungiamo la partenza dell’impianto che ci porterà su in alto ad iniziare la nostra prima giornata di sci. La gente a quest’ora è ancora poca e dentro la cabina ci ritroviamo solo noi, ripassiamo pertanto quello che in linea di massima abbiamo stabilito debba essere il programma della giornata. Non esageriamo, ci diciamo, è solo la prima giornata, non abbiamo fatto un allenamento specifico pertanto evitiamo le piste troppo impegnative, limitiamoci a riprendere confidenza con la neve e con i movimenti. Programma puntualmente disatteso dai fatti. Siamo giunti sulla cima, malgrado il grigiore della giornata ed il fatto di averlo gia visto innumerevoli volte,  il panorama che si apre davanti ai nostri occhi è qualche cosa di irreale di magico, è una cosa che ti riconcilia con la vita e che ti fa capire come sempre sia degna di essere vissuta. Ora si comincia davvero, le prime curve ampie e rotonde lente, misurate con una particolare attenzione ai movimenti lungo il pendio della pista, poi i movimenti si fanno più veloci il raggio delle curve si accorcia mentre ne aumenta la frequenza, via giù molla, il desiderio di andare prende il sopravvento e manda a farsi benedire qualsiasi programma o decisione presa in precedenza, giù, andiamo giù. La neve, è neve naturale,  fresca, niente a che vedere con quella artificiale è soffice e compatta allo stesso tempo, scivola sotto agli sci con un leggero sussurro quasi ti volesse accompagnare misurando il tuo respiro ad ogni movimento, l’aria ti batte sulla faccia, ti spettina i capelli all’indietro, ad all’inizio malgrado gli occhiali ti fa lacrimare leggermente gli occhi. Non fa per nulla freddo la temperatura è l’ideale per sciare anche di prima mattina, di poco inferiore allo zero. Siamo arrivati alla fine della pista, ci ritroviamo alla partenza della seggiovia che salendo sopra la Bamby ci porterà al Piz la Ila, ci guadiamo e sono i nostri occhi a sorridere.
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Comincia il carosello, si sale e si scende in continuazione alternando impianti di risalita e piste, ci si ferma un attimo per un caffè alla Brancia, luogo di sosta quasi abituale e poi giù verso Corvara lungo la pista che conduce diritta in paese. La partenza delle cabinovia che sale a Piz Boè è affollata, la gente ora comincia ad arrivare numerosa e la ragione in più è che si trova proprio sul tracciato del Sella e Ronda, il giro dei passi che, lungo un tracciato quasi circolare, si snoda lungo tutte le piste che costeggiano il gruppo Sella, affacciandosi sempre su paesaggi maestosi. Comunque l’attesa non è lunga, scendiamo lungo la pista opposta cercando di evitare i gruppi di turisti che si affollano lungo il percorso. Nessuno che arrivi da queste parti vuole rientrare a casa senza poter raccontare di avere effettuato il mitico tracciato, con tutto quello che questo comporta, gente che a malapena si regge sugli sci che si avventura su piste dove anche sciatori esperti potrebbero trovare delle difficoltà, intralciando gli altri ed  alcune volte ostruendo le piste,  abbarbicati lungo il percorso, ad ogni cambio di pendenza, come lunghe code di turisti giapponesi in gita. Divenendo così un pericolo per se ma soprattutto per gli altri. Troppa folla su queste piste, decidiamo quindi di tagliare verso una pista laterale, è incredibile come possano verificarsi certi cambiamenti, la pista che rientra verso il passo di Campolongo e che poi tramite un altro impianto ci condurrà di nuovo su al Pralongia e poi verso l’Armentarola è deserta, la neve quasi intatta, solo qualche traccia di pochi sciatori che sono scesi in precedenza. Nel frattempo il vento in quota ha spazzato definitivamente il velo di nubi che lo copriva e scendere lungo la pista è come sciare in paradiso in mezzo a verdi pini  che la costeggiano, nel  silenzio quasi assoluto rotto dal rumore del vento fra i capelli e del leggero fruscio della neve che scivola sotto gli sci.  Viene da chiedersi quanti di questi sciatori, lo facciano per il piacere di sciare in  posti bellissimi e quanti invece lo facciano, come purtroppo è d’uso ai nostri tempi,solo per poter raccontare ad amici e conoscenti di averlo fatto. Risaliti sul versante opposto controlliamo l’ora, manca poco a mezzogiorno, decidiamo quindi di dirigerci nuovamente verso S.Cassiano per  recuperare la macchina fotografica che avevamo lasciato nell’auto. Lungo l’ultima pista che porta verso il parcheggio ci fermiamo a mangiare qualche cosa, un piatto di pasta, non si deve mai esagerare se si ha l’intenzione di continuare a sciare nel pomeriggio e la pasta è l’unica cosa che. pur saziando. non appesantisce ma che mette a disposizione nuove energie da consumare nel corso della  giornata.  Si termina il pasto con un caffè e con una grappa al mirtillo, quasi d’obbligo da queste parti, poi  in pochi attimi si raggiunge il parcheggio a lati della pista, si recupera la machina fotografica e poi di nuovo su,  sulle piste, ma con più calma, con numerose soste per scattare le foto al paesaggio che come un anfiteatro ci circonda. Sono ormai le tre quando raggiungiamo nuovamente l’auto, togliamo gli scarponi e ci dirigiamo a valle, abbiamo deciso di passare all’Azienda autonoma di soggiorno di Corvara, durante le passate vacanze estive avevo scorto nella sala un paio di pc e vorrei sincerarmi se si tratti o meno di un Internet point, ne avrei bisogno per il giorno successivo. Non si tratta di un Internet point purtroppo, mi spiegano che sono relativi solo alla ricerca ed alla prenotazione di alberghi. Peccato, ormai ci contavo, facciamo incetta di depliant turistici relativi alla prossima estate e rientriamo nell’appartamento. Qui dopo una doccia calda restiamo un paio d’ore sdraiati sul letto a smaltire le tossine accumulate e poi fuori, sempre alla pizzeria, che ho dimenticato di dire è anche un ottimo ristorante. Un antipasto di speck, con cetrioli e rafano e a seguire una bella Wiener schnitzel (tipo cotoletta alla milanese) con patatine fritte e salsa di mirtillo rosso, una leccornia da queste parti. Poi a letto, domani sarà una nuova giornata speriamo altrettanto proficua, anche se le previsioni del tempo annunciano nuvole e nevischio in quota, beh si vedrà.
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(segue)
Feb 1, 2008 - racconti brevi    16 Comments

Settimana bianca – Incontri ravvicinati di un certo tipo

parte prima

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(San Cassiano, sullo sfondo le Odle)
Chi come me ama la montagna e lo sci potrà capire quanta importanza possa avere la settimana bianca. Se poi la precedente, si mi riferisco a quella effettuata la stagione prima è stata eccezionale, già al rientro ci si pone immediatamente ad organizzare quella per l’anno successivo, se è stata mediocre a causa del tempo, ci si pensa comunque in un’ossessiva speranza di rivalsa ed è con questo spirito che ci si approssima alla nuova partenza, sempre più impazienti tanto più la fatidica data si avvicina. Finalmente il giorno è arrivato, non è stato necessario il suono della sveglia a scaraventarci fuori dal letto, già da tempo si osservava sott’occhi, nel dormiveglia fra le fessure delle tapparelle, lo schiarire del cielo, come bimbi in attesa dei doni la notte di Natale. Tutto è già predisposto, scarponi e sci caricati in macchina dal giorno prima, le valigie pronte accanto alla porta d’ingresso, gli abiti da indossare disposti accuratamente sulle sedie del soggiorno, ci si alterna velocemente in bagno e poi via si parte, si parte per quell’avventura ripetuta ad ogni inverno da anni, ma sempre nuova, sempre con la medesima carica di entusiasmo, si va a sciare. Si è scelto la domenica per partire, le autostrade sono trafficate, ma l’assenza del traffico pesante le rende più scorrevoli e la voglia di schiacciare sull’acceleratore è forte e solo il rischio di una salata contravvenzione mi trattengono dal superare quel fatidico limite. La montagna è là, con le sue piste innevate, con i suoi rifugi accoglienti, con i suoi panorami da favola, è la e ci aspetta, non dobbiamo farla aspettare. L’autostrada sembra non finire mai, ma è solo una sensazione dettata dalla nostra ansia, del nostro desiderio di giungere in quel luogo, ed ecco che puntualmente dopo alcune ore appare il cartello che indica il casello di uscita, abbandoniamo la noia dell’autostrada e ci addentriamo lungo le strade che percorrono le valli, attorno a noi le montagne si alzano a limitare il nostro sguardo tra il verde cupo dei pini ed il bianco delle nevi e su in alto il blu di un cielo terso, siamo quasi arrivati, ancora pochi chilometri e saremo a destinazione. Il cartello che indica Val Badia compare improvvisamente alla nostra destra, rallentiamo; fra pochi metri attraverseremo il ponte che scavalca il Rio Pusteria e ci inoltreremo per la valle, una serie di gallerie  accompagneranno  il nostro cammino su, sino al bivio che segnala la deviazione per San Vigilio.  Noi proseguiamo ancora su verso Picolin, dove ci fermiamo per prendere un caffè e per fare gli ski pass settimanali alla nuova stazione della cabinovia che collega la Val Badia con San Vigilio e con il comprensorio sciistico di Plan de Corones. La signorina che ci attende allo sportello è bionda e sorridente, alla mia richiesta dei due settimanali di cui uno senior (scontato), scuote il capo e scoppia in una risata, “Sempre voglia di scherzare voi” cantilena nel particolare italiano del luogo ed è solo a fatica e con l’ausilio della carta d’identità che riesco a convincerla che, anche se per una questione di mesi, non stavo affatto scherzando. Controlla, mi guarda, sorride ancora e mi chiede scusa, ma di che, forse non si rende conto di avermi fatto un complimento, o forse sono io che non mi rendo conto di come faccia solo parte del gioco. Torniamo in auto e ripartiamo, la strada si snoda in curve a tornanti e ci porta su, ecco il cartello che indica “ Alta Val Badia  – Begn Udus “ benvenuti,  superiamo La Valle, Pedraces e poco dopo iniziamo a scorgere i primi impianti di risalita, sono da poco passate le due, la gente affolla ancora le piste e la vediamo scendere verso le seggiovie. La voglia di bloccare la macchina, parcheggiare, indossare le tute, calzare gli scarponi ed infilare gli sci ai piedi è tanta, ma ci tratteniamo, abbiamo tutta le settimana davanti, domani diciamo, domani anche noi saremo lì. Così alle tre del pomeriggio giungiamo a La Villa, nostra destinazione, più avanti sulla destra la strada prosegue per Corvara, Colfosco e poi ancora su verso il passo Gardena che la collega con l’omonima valle. Mentre a sinistra la strada sale verso San Cassiano per inoltrarsi poi oltre il Passo di Valparola e il Falzarego sin giù verso Cortina. E’ presto per andare subito nell’appartamento pertanto decidiamo di andare a bere qualche cosa più avanti, dopo San Cassiano e di fermarci in quella piccola baita a lato delle piste da fondo sotto l’Armentarola, dove d’estate abitualmente facciamo tappa a bere un caffè prima di addentrarci nei boschi alla ricerca dei funghi e poi più tardi al rientro, distrutti dalla fatica, per riposarci davanti ad un piatto fumante di polenta formaggio e funghi o spezzatino di capriolo. Entriamo, il rifugio è affollatissimo, come le piste del resto, la neve è tanta e bella e la voglia di addentrarsi nei boschi sopra a degli sci da fondo o a delle racchette da neve in una giornata di sole coinvolge molta gente. La signora ci vede e ci riconosce. Ci viene incontro e ci saluta calorosamente, chiede come mai da quelle parti, conosce la nostra predilezione per lo sci alpino e lì nei pressi non ci sono impianti di risalita, solo per un saluto e bere qualche cosa rispondiamo. Si libera un tavolo e ci accomodiamo, una birra ed un the, poi dopo una mezz’ora, salutiamo la signora, ci diamo appuntamento per la prossima estate e risaliti in macchina ci dirigiamo verso il residence dove da alcuni anni affittiamo, sia l’estate che l’inverno, l’appartamento. La signora che lo gestisce ci accoglie calorosamente come sempre e  ci accompagna per sincerarsi che l’appartamento assegnatoci sia in ordine e di nostro gradimento. Sono passate le quattro ormai e siamo stanchi, pertanto scaricati i bagagli e fatta una doccia veloce ci buttiamo sul letto un paio d’ore per riposarci prima di uscire la sera a cena. Sono le sette quando ci alziamo, decidiamo per una pizza veloce e scendiamo alla pizzeria che dista solo pochi passi dall’albergo. Fanno una pizza favolosa, non so da cosa dipenda,  dall’acqua o forse dai prodotti, ma non ha nulla da invidiare a quella che fanno a Napoli ed è sicuramente di gran lunga superiore a quella che ultimamente si mangia dalle nostre parti. La pizzeria è affollata, ma riusciamo comunque a trovare un tavolo. Ordiniamo e per ingannare l’attesa ci facciamo portare delle bruschette, ci ricordiamo al momento dell’assaggio che anche da queste parti l’aglio viene utilizzato in modo robusto. La birra grande alla spina è finita prima che giunga la pizza, ne ordino un’altra, la mia intendo in quanto mia moglie si disseta semplicemente con dell’acqua minerale e con la seconda birra arriva anche la pizza, ottima come sempre. Rientriamo nell’appartamento che sono quasi le dieci, un rapido sguardo alla tv, come al solito nulla di interessante, decidiamo quindi di coricarci. Non so per quale ragione ma in montagna il sonno mi coglie sempre molto prima, credo sia dovuto in parte alla stanchezza ed in parte all’inconscio desiderio che giunga subito il mattino per essere là, pronto con gli sci sulle piste, e si sa che dormendo il tempo passa più in fretta. Si va a dormire, domani si comincia.
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Gen 23, 2008 - racconti brevi    5 Comments

Il raduno degli dei

Premessa

Innanzi tutto vorrei precisare che in questo scritto non vuole esserci assolutamente nulla di irriverente nei confronti di nessun essere superiore ne dileggiare alcuna fede, solo si limita a prendere in considerazione in forma metaforica, quello che è stato e che è tutt’ora il comportamento, di alcuni, troppi, loro proseliti.

 

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Erano passati duemila anni dall’ultimo raduno, un eternità  secondo il calcolo umano del tempo, un inezia invece se considerati dal punto di vista di chi, come loro, era immortale e Buddha, presidente di turno in carica, decise che fosse tempo di indire una nuova riunione per eleggere il presidente che sarebbe rimasto in carica per i successivi duemila anni e per programmare le sorti del mondo che era stato loro affidato. Pertanto si apprestò a convocare tutti gli altri dei e si diresse immediatamente verso il luogo prefissato per l’incontro, visto che fra dei la convocazione aveva il carattere immediato e rimase ad attendere gli altri. I primi a giungere furono gli indiani, Brhama Siva e Visnù seguiti a ruota da un Manitou più rosso del solito, anzi per la verità risultava essere incazzato nero, poi più nessuno, Buddha malgrado la sua grande calma cominciava a spazientirsi, che fine avevano fatto gli altri? Non era mai successo prima di allora che ci fossero stati ritardi. Quando ad un tratto sopraggiunsero due figure nuove.

“E voi chi sareste?” chiese incuriosito Buddha.
“Dio” risposero all’unisono.
“Anch’io” ripeterono poi ancora contemporaneamente guardandosi in cagnesco.
“Andiamo per ordine”, intervenne allora Buddha, si presentò, presentò gli altri dei indiani che avevano assistito all’arrivo, poi rivolgendosi al primo chiese “Tu chi sei?”

“Io sono Dio/Allah”, rispose l’interpellato.
“E tu?” fece poi all’altro.
“Io sono Dio/Dio” rispose quest’ultimo, “Anche se, – aggiunse – in passato anch’io ero conosciuto come Allah da alcune popolazioni, anzi una di questi mi chiama ancora così, oppure Geova”
“Oh Cristo” fece allora spazientito Dio/Allah.
“No, quello è mio figlio” , precisò allora Dio/Dio/Allah/Geova
Buddha, ebbe il sospetto che questo nuovo dio avesse preso qualche difetto dagli dei greci e sovvenendosi allora della loro assenza come di molti altri chiese:
“Ma che fine hanno fatto tutti gli altri dei? Dove sono Giove e la sua  corte? Osiride ed Iside, Odino Ball e tutti gli altri?
“Emigrati altrove” , affermarono in coro Dio/Dio/Allah/Geova e Dio/Allah.
“E Quetzalcoatl, il serpente piumato?” insistette ancora Buddha.
“Esiliato. – rispose Dio/Dio/Allah/Geova – era solo un dio crudele, pretendeva sacrifici umani e poi – aggiunse – ho sempre odiato i serpenti.”

“Ed il suo popolo?”
“Convertiti “
“Tutti?”
“Tutti quelli che hanno accettato”

“E degli altri che ne è stato?”
“Sacrificati al loro dio quale dono di commiato”.
“Me ne vado anch’io, – fece proprio in quel momento Manitou che sino ad allora era rimasto silenzioso in disparte, – questo figlio di……..Dio, mi ha quasi sterminato in intero popolo, e……
“Padre, prego” interruppe Dio/Dio/Allah/Geova.
“…e credo che accetterò l’invito di Mercurio e Marte per andare a sciare alle Pleiadi” concluse Manitou, si allontanò dal gruppo con passo spedito e scomparve, seguito dallo sguardo  di Dio/Dio/Allah/Geova che non si curava affatto di nascondere un  sorrisetto di soddisfazione.

A quel punto Buddha, constatata l’assenza degli altri dei e la defezione di Manitou diede inizio con i presenti alla riunione ponendo all’ordine del giorno l’elezione del nuovo presidente che sarebbe rimasto in carica sino alla prossima sessione e che per il corso dei successivi duemila anni avrebbe impartito le direttive.
Secondo le regole il nuovo presidente avrebbe dovuto essere eletto in  base dell’importanza raggiunta della religione da lui rappresentata in quel periodo sul pianeta, e qui sorse la disputa fra Dio/Allah e Dio/Dio/Allah/Geova. In quanto il primo chiedeva che le religioni venissero considerate sulla base degli adepti che le praticavano, mentre Dio/Dio/Allah/Geova chiedeva che la valutazione fosse fatta sulla base delle aree geografiche sulle quali le varie religione si erano diffuse, contando sul fatto che esistevano molte regioni dove le altre religioni erano praticamente inesistenti.
Buddha, prese nota delle richieste, le mise a verbale e visto che si era fatto tardi decise di aggiornare la seduta al giorno successivo e si appartò con gli indiani per dedicarsi al consueto pocherino. Rimasti soli Dio/Dio/Allah/Geova e Dio/Allah decisero di soprassedere al loro contenzioso e di dedicarsi a loro  volta ad un passatempo, disposero a terra uno scacchiere, sistemarono i loro pezzi e si apprestarono ad iniziare il gioco, Buddha che in quell’attimo passava li osservò un attimo e poi non conoscendo il gioco incuriosito chiese “Di che gioco si tratta?” , – “ Risico” risposero entrambi ancora una volta all’unisono. Buddha allora li osservò giocare per alcuni istanti, poi rabbrividendo si chiese” Ma staranno veramente giocando?”
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Gen 10, 2008 - racconti brevi    14 Comments

Nato col cappello

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Credo che tutti voi già leggendo il titolo abbiate qualche cosa da obiettare, nato col cappello? Ma da quando questa espressione è entrata nell’uso comune? Da mai, nato con la camicia, vi verrà da suggerire, questo sì, questo lo si sente dire spesso in riferimento a delle persone che dalla vita hanno avuto tutto ma che hanno saputo apprezzare e valorizzare questo fatto. Beh no, lui no, per lui non era così, lui era nato col cappello. Era uscito dalla tana in una fresca mattina primaverile e mai avrebbe voluto farlo, si stava così comodi là dentro, caldi, rilassati,  nutriti senza sforzo alcuno, senza nessuna fatica, lontano da qualsiasi impegno o confronto. Ma suo malgrado era stato costretto ad uscire, forzato, spinto e subito fuori senza che nessuno avesse provveduto a sculacciarlo, come solitamente avviene secondo la prassi, aveva subito e chiaramente manifestato il proprio disappunto. Il luogo non gli piaceva, non gli piaceva nessuno di quegli esseri che soddisfatti e sorridenti si affaccendavano attorno a lui e ancora meno gli piaceva quella che in particolare lo osservava con un sorriso grande e che già immaginava di crescerlo,  accudirlo amorevolmente, viziarlo e coccolarlo. No, non gli piaceva, ma immediatamente capì che la soluzione, stava tutta là un quel sorriso raggiante,  in quello sguardo e decise così di ricorrere al cappello. Sì signori, per quanto a voi possa parere strano quel bimbo era venuto al mondo col cappello, no non in testa. In testa come tutti i bimbi appena nati aveva solo pochi e radi capelli, il cappello lo teneva gia stretto saldamente in mano, aspettava solo il luogo adatto per poterlo appendere. Crebbe fra amorevoli cure mai apprezzate, viziato e coccolato oltre ogni dire, insoddisfatto, altro lui chiedeva alla vita, lui lì non avrebbe voluto esserci quindi riteneva di essere creditore nei confronti di quanti in quelle condizioni lo avevano posto, altrui era l’obbligo di rendere la sua vita piacevole e riposante, il suo cappello ora era là, appeso all’appendi abiti infisso alla parete e là sarebbe rimasto sino a quando a lui avrebbe fatto comodo. Crebbe senza amici, non tollerava, naturalmente ricambiato, nessuno degli altri bambini, così frenetici, rumorosi, allegri, non amava i loro giochi, le loro corse le loro risate, le giudicava un inaccettabile ed inutile spreco di energie, lui trascorreva il suo tempo lesinando su tutto anche sul respiro. Non frequentò mai una scuola statale, sin dalle elementari la sua educazione fu affidata a seri e compassati preti che gestivamo un collegio privato, là dentro lui crebbe protetto, lontano dal clamore della strada, dai giochi violenti e rumorosi degli altri bambini, dal rischio e dalle competizioni. Là lui appese un’altra volta il cappello, dedicandosi svogliatamente agli studi, giusto quel tanto che sarebbe bastato per conseguire la promozione all’anno successivo, sino a raggiungere così senza colpo ferire la licenza media. Raggiunti i quattordici anni lasciò il collegio e tornò a riappendere quel cappello all’appendi abiti che lo aveva visto crescere, tornando fuori fra quelle strade e fra quella gente che mai aveva saputo apprezzare. La cosa naturalmente a lui non piacque per nulla, lì si doveva combattere, ci si doveva confrontare, il pane da portare alla bocca lo si doveva guadagnare giorno dopo giorno, quella vita non faceva per lui, lui aveva il cappello ed ancora una volta opportunamente vi fece ricorso. Decise di entrare in seminario, là nessuno avrebbe potuto attaccarlo ferirlo, ostacolarlo in quel cammino di facile sopravvivenza che, grazie al cappello, si era scelto.

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Purtroppo per lui non aveva considerato una cosa, il desiderio, sì quello spiritello che malgrado la protezione dell’abito nero che già indossava quale seminarista, malgrado il cappello saldamente appeso alla parete della camerata,  quello spiritello si era impossessato di lui stravolgendo il suo quieto esistere, i suoi piani futuri, rendendo precario l’appoggio del cappello alla parete. Fu allontanato dal seminario alcuni anni dopo, proprio alla soglia della sua consacrazione a sacerdote. Il fatto non fu mai accettato dalla madre che già pregustava la nomina del figlio a sacerdote e la gioia di  poter sfoggiare presso le amiche quel figlio prete.  Da quel giorno non mancò mai di rinfacciare al figlio la sua delusione, il suo dispetto, la frustrazione per quello che lai riteneva un affronto fatto al buon nome della  famiglia. Per un attimo era rimasto col cappello fra le mani, ricollocato su quella strada,  in quel mondo che lui non amava e nel quale sarebbe stato costretto vivere. Mestamente appese nuovamente il cappello sull’appendi abiti della parete di casa, e si accinse tramite conoscenze  a cercare un lavoro che avesse potuto garantirgli la sopravvivenza, così sempre grazie al cappello ed alla raccomandazione di quegli stessi che lo avevano allontanato dal seminario ma che bonariamente avevano deciso di aiutarlo nella vita. Grazie alle loro raccomandazioni appunto, fu assunto all’interno di una struttura statale, in un impiego di incerte ed indefinite  funzioni ma che gli garantiva  uno stipendio fisso ad ogni fine del mese, anche qui trovò subito il modo di primeggiare raggiungendo in breve tempo il record sull’assenteismo. Ma il cappello era nuovamente lì, saldamente appeso alla parete e sempre grazie a raccomandazioni ed a conoscenze riuscì  ad evitare anche quel servizio militare che da tempo disturbava i suoi pensieri e le sue notti, allontanando ancora una volta il rischio di qualsiasi confronto. Gli anni passavano, la sua posizione per quanto assolutamente comoda all’interno di quella struttura rimaneva immutata, tollerata, mentre in casa la situazione stava cambiando. Quella figura che nei tempi passati lo aveva amorevolmente cresciuto, ma che ora, pur continuando ad accudirlo,  lo guardava  quasi con disprezzo, stava velocemente invecchiando e l’appoggio del cappello alla parete stava diventando sempre più instabile. Occorreva trovare una soluzione rapida, una soluzione che gli consentisse di appendere il cappello in una posizione più sicura, duratura e che nel medesimo tempo gli permettesse di soddisfare, almeno temporaneamente, quel desiderio che ancora come un tarlo lo rodeva dentro e che rendeva insicura la sua voglia di stabilità. La soluzione gli si presentò poco tempo dopo, incarnata in una donna che aveva avuto modo di conoscere tempo prima, belloccia, lavoratrice, benestante e che provava una certa attrazione nei suoi confronti. La decisione di approfittare dell’occasione e di accasarsi fu immediata ed il cappello tornò ad essere stabilmente e sicuramente appeso ad una parete. Passarono molti anni ed il trascorrere della vita continuò a svolgersi nel medesimo monotono tran tran, il solito lavoro,  o meglio il solito non lavoro, non era mai progredito nel corso di tutti quegli anni in cui si era distinto solo nella costante diminuzione della produttività e nell’ aumento progressivo delle ore di assenza. Il solito squallido menage familiare, con una compagna inacidita dagli anni e dalle fatiche ma comunque fedele e quel suo desiderio sempre presente, inappagato e privo di sbocchi. Ora cominciava ad invecchiare, i capelli ormai praticamente scomparsi dalla fronte faticavano, malgrado le continue tinture, a mantenere il colore originale, una  vita sedentaria priva di qualsiasi attività, di sport e di movimento, lo aveva appesantito, quasi sformato e l’adipe pronunciata debordava dalla cinta dei pantaloni. Dalla parete il cappello osservandolo cominciò a pensare come fosse ora di trovare un nuovo padrone.

 

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