Apr 3, 2008 - racconti brevi    19 Comments

Il giocattolo e il gioco

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Era giunto all’improvviso, nove mesi dopo una seduta terapeutica come tante altre, fatta solo per rilassarsi un poco, per trascorrere una serata uggiosa, per giustificare una decisione presa tanto tempo prima. Una scelta molte volte rimpianta da entrambi, ma le convenzioni sociali del luogo e dell’epoca non  lasciavano alternative, occorreva salvare le apparenze, mostrare una facciata rispettabile. Da qualche anno per motivi diversi, avevano deciso entrambi  di dedicarsi alla ricerca di un figlio, lui per recuperare un poco della sua perduta libertà, lasciando lei alle prese col bambino e per assicurarsi un erede, lei per avere una ragione in più che gli garantisse il futuro e la vecchiaia. Così  in un’ancora calda serata di fine estate dell’anno 19…. era giunto lui, accolto quasi con indifferenza ed affidato da subito alle cure di una balia. Gli era stato assegnato un nome importante, un nome che tenesse fede alle tradizioni ed all’albero genealogico della famiglia. Era cresciuto così, fra le attenzioni annoiate di una madre e saltuarie presenze del padre sempre assente per ragioni di…. lavoro, nelle costanti e continue cure e attenzioni della balia e della servitù. Coccolato, viziato e ignorato. Quella che era la sua cameretta era stracolma di giocattoli, di tutti tipi, dal cavallo a dondolo al triciclo, la prima biciclettina con le rotelle, macchinine, un trenino elettrico. Erano tutti là accatastati, abbandonati dopo un primo facile entusiasmo e poi dimenticati. Fra questi un bellissimo pallone da calcio, di quelli ufficiali, quelli che si utilizzavano per le gare, con il marchio stampato a fuoco e con tutte le sezioni esagonali di cuoio sapientemente cucite a mano. Anche in questo caso il suo entusiasmo era durato il tempo di una sedia rovesciata e di un prezioso vaso frantumato a terra, senza che un rimprovero gli fosse mai stato fatto. Fu così che un giorno, mentre sul terrazzo di casa annoiato come sempre prendeva visione del giocattolo appena regalatogli, udì provenire da sotto un allegro vociare, grida e risate di bambini. Si affacciò al parapetto e scorse, nel prato che fronteggiava casa sua, una torma di bambini che nella foga del gioco rincorreva un pallone. La sua attenzione fu attratta dal pallone, era vecchio, di quelli di plastica, rimbalzava male ed ad ogni calcio che riceveva si ingobbiva sul lato. Sì ricordò allora del pallone abbandonato là assieme agli altri giochi nella sua cameretta, il suo bel pallone di cuoio ancora nuovo, il mio è più bello pensò.  Preso dal ricordo e dall’entusiasmo si alzò in piedi corse in cameretta e si impossessò del pallone, poi stringendolo fra le mani corse giù per le scale e si diresse verso il prato dove gli altri bambini stavano giocando. Giunse sul prato trafelato, ansante, con un sorriso di orgoglio sulle labbra, il pallone stretto fra le mani proteso verso gli altri bambini, guardate pensava guardate il mio pallone che bello. I bambini vedendolo giungere di corsa, si fermarono e vedendo il pallone nuovo che stringeva fra le mani sorrisero felici. “Ei un pallone nuovo – esclamarono tutti quasi all’unisono – che bello, dai vieni a giocare, tira il pallone dai, vieni, vieni” Le braccia rimanevano tese, il pallone restava li stretto. Come tira il pallone? Ma il pallone è mio non lo vedete come è bello? Guardate è nuovo,  il vostro è quello brutto, tutto rotto, questo é il mio, guardate che bello, guardate. Questo era quanto passava per la sua testa e che le parole non riuscivano ad esprimere. “Allora lo tiri o no? Dai tira, vieni che giochiamo, vieni”. Ma il pallone rimaneva lì incollato fra le mani. No che non lo tiro, pensava sempre con quel sorriso d’orgoglio stampato sul viso,  è mio, è più bello, non ve lo do, me lo tengo. Gli altri bambini si guardarono un attimo, poi alzando le braccia in un gesto eloquente, girarono le spalle ripresero a correre ed a tirare calci a quella palla vecchia e rattoppata. Lui rimase lì, col pallone stretto nelle mani tese, con quel sorriso che piano piano stava scomparendo dalla  faccia. Ma perché, si chiedeva, perché se ne erano andati? Il suo pallone era più bello ed era ancora lì.

Passarono gli anni e lui crebbe, crebbe viziato e solo. Crebbe e quel nome importante che gli era stato assegnato in quel giorno lontano del suo battesimo, importante non lo divenne mai, perché quel nome, Leopoldo, si ridusse in un più banale Leopoldino, Poldino. Sì perché come quel giorno in quel prato in tutta la sua vita non gli riuscì mai di capire una cosa. Non gli riuscì di capire che l’importante era il gioco, non il giocattolo. 

 

                                                                                                                                            refusi

 

 

Il giocattolo e il giocoultima modifica: 2008-04-03T00:00:00+02:00da refusi
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19 Commenti

  • Mi confondi Ref. L’ostilità che l’adulto mi suscita quando è volgare ed offensivo, mi si sgretola se lo penso bambino… non risco e non riuscirò mai a prendermela con un bimbo.
    Il racconto comunque è scritto molto bene, come sempre.

  • Ciao Ref, quanti Poldini in questo mondo. Poldini grazie ai “grandi”.Conosco bene queste storie e per fortuna c’è chi riesce mantenere integro il proprio nome. Sei SEMPRE un’ottima penna………..Un abbraccio Cristina

  • Ciao Ref… molto triste ma molto vero! E il bello è che, anche se tu non capirai, io piango per quel Leopoldino.
    Un abbraccio Ref

  • Molto bello Ref… imparare a giocare… significa imparare a vivere…
    Ma non è colpa di Leopoldino… anche lui era un giocattolo… per chi l’ha messo al mondo…
    E nella vita non si può giocare carte che non si hanno in mano…

    Sorrisi…

    Fly

  • Io, a quel bambino li’, ci faccio anche le linguacce. e poi lo prendo anche in giro: poldino col pisello piccolino. ecco! P.S. Le foto sono sulla videocamera che è a riparare. Appena ne torno in possesso, sta certo, te le mando.

  • ciao ref. il racconto è molto bello. mi viene in mente la canzone di baglioni “uomini persi”
    Anche questi occhi
    fame di nascere per morir di fame
    si son passati un dito di saliva sui ginocchi
    e tutti dietro a un pallone in uno sciame
    leggeri come stracci e dove fanno a botte
    dov’è un papà che caccia via la notte
    di tutti gli uomini persi dal mondo…
    di tutti i cuori dispersi nel mondo…

  • Ma come come fai a riconoscermi! Dai capelli no?

  • Ma che squame! Io sono una sirena che si cura sai?!? Metto la crema nutriente tutti i giorni!

  • Bel racconto…un pò malinconico…
    ma questa musica per favore posso sapere chi è ..un bacio

  • Grazieeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee.Un caro saluto Cristina.

  • Ciao Ref… buon fine settimana

  • Sai ero a corto di emozioni e quando mi sento vuota non riesco a scrivere niente così copio le ricette del mensile di cucina biologica.spero domani con l’aiuto di mia figlia di inserire la musica. Non sono molto “tecnologica”. Ma grazie alle tue coordinate sicuramente ci riuscirò. Notteeeee Cristina

  • E’ una bella storia Ref.., una storia che tanti genitori dovrebbero raccontare ai loro bimbi perche’ possano capire….. ma forse tanti genitori dovrebbero prima capirla loro….quanti Poldini ci sono anche tra i grandi….
    Buona settimana

  • Mi spiace che tu non legga più. Leggere l’ho sempre ritenuto un arricchimento, anche se si leggono porcherie. Un modo per entrare in relazione con altri pensieri, con altre deduzioni. Per non chiudersi e non incapponirsi dentro al circolo vizioso delle proprie idee. Ma sono fiduciosa in un ripensamento. Bacio.

  • Buon inizio di settimana…..quando ci delizi con altre storie? Un abbraccio Cristina.
    PS: Posta……

  • In effetti il mio post non è molto adatto alla stagione, ma avevo bisogno di un pò di magia.

  • ref ma tu sei il mago sei sogni e un buon amico!

  • Poldino ha pagato e pagherà per tutta la vita la mancanza non tanto di chi gli ha insegnato cos’è il gioco, ma di chi non ha mai giocato per primo con lui. Non basta chiamarlo a giocare….chiedergli perchè non lo fai, convincerlo a farlo, forse gli avrebbe cambiato la vita….
    Giorgio.

  • A parte Poldino…( comunque ognuno è responsabile dell’ andamento della propria vita)…si predica alla folla, spesso la folla diventa deserto…ma quale è il motivo…si toccano temi vaghi e vuoti di sostanza, oppure si dicono verità che danno fastidio alle coscienze….
    A cosa si deve contrapporre l’ occidente se non a se stesso, sforzandosi di vivere meglio.
    A quest’ uomo io, noi del PAC, presnto innanzitutto un conto: il senso civico e la responsabilità. Poi lo invito a partecipare direttamente alle scelte….se ad ascoltarmi ci fosse il deserto, allora vuol dire che stare seduti in poltrona, ad aspettare le scelte degli altri, vale più del proprio futuro.
    Giorgio.