Quale dio?
Quale, fra i tanti dei,
il giusto?
Quale, delle leggende antiche
narrò il vero?
Quale uomo uccise
l’ultimo dio
e creò poi,
per tacitarne il ricordo,
la falsa immagine
di uno nuovo?
Quale, fra i tanti dei,
il giusto?
Quale, delle leggende antiche
narrò il vero?
Quale uomo uccise
l’ultimo dio
e creò poi,
per tacitarne il ricordo,
la falsa immagine
di uno nuovo?
E noi stupiti, ci chiediamo
perché si è ucciso?
Ad est a ovest a sud a nord
l’eco degli spari scuote l’aria.
L’odore della polvere da sparo
pizzica le narici
frammisto all’odore del sangue.
Al nord al sud all’est e all’ovest,
migliaia di madri
piangono i loro figli
e molti figli non hanno
una madre per cui piangere.
A migliaia
muoiono
ogni giorno
per fame, violenza. Droga.
Gli orizzonti si coprono
dei fumi degli scarichi
mentre su luminosi schermi
appaiono
paesaggi da favola
(irraggiungibili sogni)
le finestre si affacciano
su strade
tappezzate d’immondizia
in cui acre aleggia
l’odore della miseria.
E noi
stupidi
ci chiediamo
perché si è ucciso.
Noi,
parassiti di un pianeta
preso a prestito
contempliamo un cielo
costellato
da inutili stelle
sconosciute e lontane.
Sognando
un improbabile futuro,
scordando il passato
distruggiamo il presente.
Tu c’eri,
grande madre,
da prima che creassero
il tuo nome
prima di ogni dio
e prima di ogni guerra.
Solenne e placida
vegliavi sull’evolversi
delle tue creature.
Misurata e lenta
nelle tua albe
nei tuoi tramonti,
dettavi i tempi
della vita, poi…
poi venne l’uomo.
L’uomo con i suoi dei,
le sua inestinguibile
sete di potere,
le sue guerre,
le sue morti,
le sue distruzioni,
e tu cadesti nell’oblio.
Ma ancora sei
seppur dimenticata,
continui imperterrita
il tuo corso
e ancora sarai
quando l’uomo
sarà solo un ricordo
o forse nulla,
tu, madre terra,
Pacha Mama.
Indietro torniamo indietro, torniamo a stringerci la mano ad ascoltare a parlare piano, prendiamoci di nuovo il tempo per sognare per chiudere gli occhi per pensare. Indietro torniamo indietro a... a quel sogno che non è mai stato, a quel tempo che non è il passato, indietro torniamo indietro. refusi
E’ successo una volta
per strada,
e la storia è finita,
è successo per caso
per strada,
e la rosa è appassita,
io
l’ho vista diversa, cambiata
di se stessa invaghita,
e così
da una splendida notte stellata
di una sera d’estate,
lei è diventata
una livida alba mancata
di un mattino invernale
quando il freddo è pungente
e fa male.
Quando resta soltanto
la voglia di stare
sotto calde coperte a sognare
di nuovo il ritorno
di un mese di aprile
con un più caldo sole
e di un nuovo amore
disposto a fiorire.
E di nuovo hanno chiuso le porte
ad un cuore pedestre
un cuore da circo equestre
disposto a rischiare
e da sempre intento a viaggiare
sulle onde
di un mare inventato,
sulla schiuma di un fiume sognato,
fra montagne coperte di abeti
e fra cime innevate,
sulle note di dolci canzoni
cantate, solamente col cuore
perché un groppo
ti chiude la gola e la voce
non vuole passare.
E ora cerco di nuovo una strada
una nuova fortuna, un paesaggio di luna
che mi faccia di nuovo sognare
ritrovare la voce e cantare
a due occhi di bimba sgranati
a guardare il mio viso,
e io possa di nuovo tornare
ad amare un sorriso.
Uomini e non
al centro del nulla
alla ricerca di un perché
sopra un obesa palla
verde e azzurra.
Nello spazio alla deriva
cerchiamo
di ignorare il resto
di un universo aperto
che non ci appartiene
Uomini e non
dimentichi
di un antico retaggio
spenta
è la lanterna
che un dì
cercava l’uomo
l’unica vera scienza
è persa.
E fu Natale,
fu pioggia, fu neve, fu freddo,
furono argini rotti e frane.
Furono lutti, dolore e lacrime,
fu fame che nessuna stella cometa
volle illuminare.
Ma fu Natale,
negli occhi di bimbi smarriti,
nei volti di donne piegate,
nelle mani di uomini impotenti,
che nessun coro di angeli
volle mai cantare.
Così fu Natale,
di pastori rimasti senza pecore.
di contadini rimasti senza case,
che nessuno seppe consolare,
e i re magi si scordarono
di passare.
E fu Natale.
Ti guardo
ti vedo giungere da lontano…
vedo i tuoi fianchi,
curve sinuose incedere,
agili dentro al mondo
cercare un luogo dove
posare il corpo
ed al pensiero dare
libero sfogo.
Ti guardo,
ti vedo incedere,
porgere
l’altero fiero seno
di tenerezza colmo
senza vergogna alcuna
a chi d’amore degno
vorrà porvi la mano.
Ti guardo,
e vedo dita leggiadre togliere
un ribelle ciuffo biondo
che ti celava gli occhi
e vedo,
vedo un lago profondo
carico di misteri,
vedo brillare stelle
che luminose oscurano
di colpo i miei pensieri
lasciandomi così
come un naufrago privato di parole
dentro un assenza totale di rumori
dentro lo sguardo di un antico sole
affascinato da suoni e da colori
senza più niente chiedere
io…
mi perdo