I ragazzi della via Palestro

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Lo strozzino
 

Nessuno ricordava chi fosse stato ad affibbiargli quel soprannome, ma tutti ne conoscevano bene le ragioni. Lui, quell’individuo, il grande, vestito del camice grigio, più per lo sporco che per il reale colore iniziale, con quella faccia gonfia, il naso rosso dal bere e con gli occhi porcini dentro a cispose palpebre. Lui, il solo ferrivecchi o straccivendolo della zona, lui per tutti i ragazzi del circondario non aveva un nome era “lo strozzino” e basta. In quegli anni di poco successivi al dopo guerra, la gente da quelle parti non è che se la passasse poi tanto bene, lavoravano tutti questo è vero, ma la situazione, i bassi stipendi, consentivano ai più una vita non certo agiata, decorosa sì, ma sempre con i bilanci familiari da far quadrare a viva forza ad ogni fine del mese non c’era assolutamente da scialare. Figuriamoci se in queste condizioni ai ragazzini fosse destinata la paghetta settimanale o mensile, per la verità la paghetta non sapevano neppure cosa fosse e mai si sarebbero immaginati che in futuro avrebbe potuto esistere una cosa del genere. Malgrado ciò, non e che poi se la passassero poi così male. Quei tempi, nonostante tutto, non avevano solo difetti ma anche dei pregi, la frutta ad esempio, era abbondante a disposizione di tutti e non costava nulla. No, non di certo sulle tavole, ma sulle numerose piante presenti nelle campagne dei dintorni, anche se i contadini, non sempre erano d’accordo con quei prelievi arbitrari e qualche dolorosa fucilata a sale, ogni tanto, mieteva la sua vittima. Durante l’estate al mattino ci si rinfrescava con le schegge di ghiaccio, quelle che si staccavano dalle canne che il venditore di ghiaccio ogni giorno forniva ai negozi ed alle famiglie della zona per mantenere il cibo in fresco. I frigoriferi a quei tempi e in quei luoghi erano ancora più rari delle oasi nel deserto. Nel pomeriggio poi, come giusta ricompensa alla fatica era possibile rimediare anche un piccolo cono gelato, che Michelino il gelataio, un piccolo uomo sempre gentile e sorridente, che ogni mattina scendeva giù dalla via Rienza, la strada che costeggiava la valle del torrente, per andare a vendere il suo prodotto in centro, dava come ricompensa a quei ragazzini che schierati ai lati del carrettino lo aiutavano nella via del ritorno a spingerlo su, sino in cima alla salita. C’era poi anche il modo di rimediare qualche soldo, a quei tempi tutte le cose avevano un valore, stracci, bottiglie, metalli, tutte avevano il loro prezzo di mercato presso i ferri vecchi e gli stracciai, e la maggior parte di esse erano reperibili anche se in minima quantità nella zona. C’erano vecchie case, semidistrutte dai bombardamenti della guerra, in corso di demolizione e rovistando fra quei ruderi era possibile trovare spezzoni di condutture metalliche abbandonate, o vecchi ed inutilizzabili rubinetti di ottone. Cominciavano a sorgere i primi cantieri edili per la costruzione di nuovi edifici e li era facile reperire tondini di ferro abbandonati perché di dimensioni troppo piccole per essere riutilizzati nelle costruzioni. Ogni tanto capitava di poter raccogliere del piombo, lungo il perimetro sud della piazza d’armi, al poligono di tiro dopo le esercitazioni che purtroppo non avevano luogo che una volta ogni tre mesi. Sulle rive del torrente poi vi era la “miniera”, o quella che così veniva chiamata, dove ogni settimana si poteva raccogliere un piccolo quantitativo di rame, metallo pregiato per i ragazzini a quei tempi. Infatti ad ogni fine settimana i dipendenti dell’Enel, proprio in uno spiazzo situato a lato del torrente, venivano per bruciare e privare così del rivestimento gli spezzoni di fili di rame avanzati dalla realizzazione degli impianti per renderlo commerciabile. Lo facevano lì, proprio sulle rive del torrente per poterlo poi raffreddare con l’acqua. Alla fine il rame veniva poi caricato nel cassone di un camioncino ed il lavoro non veniva di certo fatto a mano, bensì con del grossi forconi, va da se che una piccola parte del materiale rimanesse lì sparsa dentro il perimetro dello spiazzo, sommersa dalla cenere. Era così che, rovistando fra la cenere con le mani e raccogliendo il rame frammento per frammento, filo per filo, i ragazzini a fine settimana riuscivano a raccogliere uno o due chili di materiale, che venduto, avrebbe poi fruttato qualche soldo per il gelato e la bibita della domenica. E proprio qui entrava in gioco lui, lo strozzino. Tutte le volte che i ragazzi si presentavano con del materiale di recupero, perché altro non era, lui prima guardava il materiale, poi osservava in faccia i ragazzini, soppesava il materiale e poi se ne usciva immancabilmente con quella frase: “Dove lo avere preso? Lo avete rubato vero?” ed alle vivaci proteste dei ragazzini, rispondeva sempre “ Via, via so che lo avete rubato – poi si ficcava la mani in tasca per sortire qualche moneta, mai più di una cinquantina lire in tutto, che cacciava nelle mani di uno dei ragazzini, per continuare poi con un – andate, andate se no poi finisce che chiamo le guardie” come se lui, di buon cuore, avesse fatto loro un grande favore .
Così sempre ogni volta, da anni. Ma purtroppo non esisteva nessun altra soluzione visto che in tutta la zona non vi era nessun altro che praticasse quel tipo di raccolta e loro non avrebbero saputo a chi indirizzarsi perdendo anche quelle poche lire che riuscivano comunque di rimediare. Mai come in quel caso era veritiero l’antico detto “pochi maledetti e subito”. Quindi meglio poco che nulla anche se nella testa dei più da tempo si meditava, fantasticando come in sogno, la possibilità di una tremenda vendetta e, a causa di un paio di eventi fortuiti, l’occasione si presentò loro qualche tempo dopo. Accadde infatti che a pochi passi da dove risiedevano, in uno spazio prima abbandonato, venisse eretto un capannone e che all’interno iniziasse la propria attività un nuovo ferrivecchi. Il gruppo lo aveva visto subito, ma per un po’ di tempo non aveva osato entrarvi visto che sembrava destinato ad un commercio più consistente delle loro poche cose rimediate nelle raccolte. Sino a che un giorno, fattisi coraggio, dopo avere lavorato faticosamente per tutta la giornata in “miniera” ed avere raccolto un discreto quantitativo di rame ed averlo avvolto diligentemente in un paio di matassine, si erano decisi ed erano entrati per provare a venderle. Il grande presente li aveva osservati sorridendo aveva soppesato il rame fra le mani, lo aveva poi pesato sulla bilancia, quasi tre chili, aveva scorso il dito lungo la tabella sino alla voce che indicava: “Rame £ 350 – Kg.” ed aveva consegnato nelle mani dei ragazzini stupiti una banconota da mille lire, aggiungendo, “Quando avete altro, passate pure non fatevi problemi, i prezzi sono quelli della tabella”
Non avevano mai visto una cifra simile in tutta la loro pur breve vita, salvo che nelle mani dei genitori. Mille lire! Guardavano la banconota con gli occhi sgranati. La rigiravano fra le mani passandosela a vicenda per poi tornare a riprenderla increduli. Avevano scoperto l’America. Nei giorni a seguire, fu un avvicendarsi continuo fra i luoghi di raccolta ed il ferrivecchi e per molto tempo ancora sulle loro facce all’uscita si poteva notare dipinta, quell’espressione di felice stupore. Ma assieme alla gioia, dovuta alla possibilità di poter avere qualche soldo per le loro piccole cose, dentro loro montava anche una rabbia sorda contro quell’individuo che per anni si era approfittato di loro derubandoli, lo strozzino. Sempre più nelle loro teste maturava il desiderio di vendetta, confabulavano fra loro cercando di trovare una qualche soluzione che fosse la rivalsa definitiva per tutti i torti subiti, anche se non riuscivano a trovare nulla che potesse essere messo in atto per attuare la vendetta contro l’odiato strozzino. Sino a che un giorno verso la fine del mese di settembre l’occasione si presentò da sola ai loro occhi. Accade infatti che la Snam, l società che a quei tempi gestiva la distribuzione del gas metano per il riscaldamento domestico iniziasse in zona la costruzione della nuova rete. Cosi dopo avere scavato le buche per la posa delle condutture, vi scaricavano dentro i tubi di ferro lunghi all’incirca un otto metri e di una quindicina di centimetri di diametro saldandoli poi fra loro per poi tornare a ricoprirli di terra. Accadeva inoltre che alla fine del lavoro la sera i tubi non ancora ancora saldati venissero lasciati incustoditi all’interno delle buche aperte. Il lavoro era sempre osservato da quei ragazzini curiosi che oltre ad un vero interesse per quanto stava accadendo speravano anche di rimediare come capitava spesso un po’ di materiale di scarto da vendere. Fu così che una sera, sotto il loro sguardo attento, successe che gli operai terminassero il lavoro e se ne andassero a casa lasciando uno dei tubi dentro allo scavo senza averlo saldato. Sulle facce dei ragazzini apparve immediatamente un fugace lampo, si guardarono sorridendo, senza aver bisogno di alcuna parola, avevano pensato tutti la stessa cosa e con un cenno di assenso si diressero verso casa per la cena. Si ritrovarono tutti alle otto, ma proprio tutti, perché la cosa potesse riuscire occorreva essere in tanti. Attesero che si facesse buio per non essere visti, poi si calarono dentro la buca sollevarono il tubo, lo posarono sul bordo, risalirono, si disposero in fila indiana per tutta la sua lunghezza, si chinarono e all’unisono lo sollevarono. Poi in silenzio rasentando i muri per non essere scorti si diressero verso il magazzino dello strozzino. Lo trovarono che stava armeggiando con della merce, come li vide e vide il tubo che portavano gli occhi gli si riempirono di cupidigia, li fece entrare e fece loro posare il tubo per terra che, lungo com’era, non entrava tutto nel locale. Poi iniziò con la vecchia cantilena: “Lo avete rubato vero? Sono sicuro che questo lo avete rubato” sebbene fosse difficile da negare qualcuno tentò un timido accenno di diniego “ E’ caduto, è caduto da un camion che passava e noi lo abbiamo raccolto”. “Non ci credo, -incalzò lui – di certo questo lo avete rubato, andate o questa volta i carabinieri li chiamo davvero”.
I ragazzini si guardarono accennarono con le mani ad una timida richiesta di compenso, per rendere il fatto più credibile, e poi cacciati dalle urla dello strozzino corsero via nel buio della sera. Corsero sino alle loro case e qui giunti radunatisi all’interno del cortile scoppiarono in una sonora risata più per scaricare la paura e la tensione accumulata per quanto avevano architettato che per allegria. Poi iniziarono ad ipotizzare su quanto avrebbe potuto accadere il giorno seguente e si misero d’accordo sul da farsi, all’indomani ad osservare i lavori di posa e le reazioni all’accaduto si sarebbero presentati solo i più piccoli. Ormai si era fatto tardi e rientrarono tutti nelle proprie case, anche se quella notte, come si raccontarono poi, nessuno sarebbe riuscito a dormire, dissero “come accadeva solo la notte del Natale quando si aspettava il Gesù Bambino”. Il mattino seguente gli operai notarono la sparizione del tubo, si guardarono un po’ attorno esterrefatti, non era mai accaduto prima di allora un fatto simile, poi andarono al vicino bar e telefonarono ai carabinieri. Poco dopo i carabinieri giunsero sul posto, constatarono il fatto e presero a fare domande alla piccola folla dei locali che nel frattempo si era radunata, ma nessuno aveva visto ne sentito niente. Il tubo sembrava sparito nel nulla senza lasciare alcuna traccia. Quando fra i vari brusii si senti la vocina di Dante, un bambino di cinque anni che abitava proprio nell’appartamento laterale a fronte degli scavi “Visto….” cercava di dire mentre la madre lo strattonava all’indietro per sottrarlo all’attenzione. Ma ormai era tardi uno dei carabinieri lo aveva sentito e si era chinato su di lui per chiedergli “ Dimmi bambino, cosa hai visto?” ed il Dante ergendosi in tutti i suoi ottanta centimetri di altezza e facendo così salire l’orlo dei calzoncini corti, puntando il dito verso un gruppo di case lontane un trecento metri disse, “Visto uno col carretto, andato di la” Il carabiniere diresse li sguardo nella direzione indicata dal bambino, sorrise, fece un cenno al collega e insieme si diressero in quella direzione, “là” avevano già un conoscenza. Lo trovarono mentre, piegato sopra al tubo posto su di un cavalletto, con una sega in mano stava cercando di ridurlo a più ragionevoli dimensioni. Nel magazzino poi trovarono altri articoli di dubbia provenienza, così lo arrestarono per furto e ricettazione. Lo portarono via mentre urlava, “ Non sono stato io, i bambini! Sono stati i bambiniiiiii!” ma non fu creduto.
La storia fece un po’ di scalpore nella zona e se ne parlò per ancora per diverso tempo, e se qualcuno ebbe qualche sospetto su come si fossero svolti effettivamente veramente i fatti, non ne fece mai menzione. La vendetta aveva avuto successo ed aveva largamente ripagato il desiderio di rivalsa di quei ragazzini, che per anni e anni a venire, sganasciandosi dalle risate, le sere d’estate si raccontarono quella storia.

I ragazzi della via Palestroultima modifica: 2009-07-15T00:16:00+02:00da refusi
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7 Commenti

  • Un racconto che descrive molto bene il periodo, nel vissuto quotidiano dei bambini! Molto interessante!

  • leggere in fretta non mi è mai piaciuto
    quindi per ora solo un saluto
    (anche la rima ho fatto che genio)
    e torno quando le belve riposano
    per godermi il tuo scritto
    come merita

    buon fine settimana ref
    mandi

  • Ti riferisci a me?? Uhm… ultimamente ti sto trascurando… :o)))

  • ahahahahahah! Grande, davvero grande! Grazie per aver condiviso questo ricordo con noi. Leggendoti ho provato la stessa indignazione dei bambini e la stessa soddisfazione a “vendetta” avvenuta. Ben gli sta, allo strozzino, così impara ad approfittarsi dei piccoli! Eheheheh… piccoli, ma non stupidi, e soprattutto degli ottimi attori! 😀

  • Me lo sono proprio gustato. Ben scritto, molto evocativo e tremendamente vero se penso a certi racconti. Ed ora come debbo chiamarti? Il piccolo ladruncolo giustiziere? Rido.

  • C’è, c’è il commento, sono io lenta a pubblicarli.

  • Ciao Ref, posso chiederti perche’ non lo pubblichi, e’ molto bello, scritto benissimo……
    Cribbio Ref sei un artista a tutto tondo!
    Ti abbraccio