Settimana bianca – Incontri ravvicinati di un certo tipo
parte prima
parte prima
(ovvero ricordi di gioventù)
Non far la ritrosa,
non dir che è peccato
che non si può cogliere
quel frutto proibito.
Ti piega le spalle
quel peso ancestrale,
su, scrollati via
l’antica morale.
Te la porti addosso
e ti pesa, ti pesa
quel vago sentore
d’aria stantia di chiesa,
e resti legata
al concetto sbagliato,
che fare l’amore
sia un brutto peccato.
Non star lì impalata,
scavalca quel fosso
e lascia che il vento
ti razzoli addosso,
con l’alito fresco
le sere d’estate
possa farti fremere
la carni accaldate.
Lascia che Cupido,
il dio dell’amore
colpisca col dardo
infuocato il tuo cuore.
Lascia che i suoi occhi
non siano mai stanchi
di bere estasiati
al tuo seno e ai tuoi fianchi.
Che fare l’amore
non è cosa proibita
ma il canto più dolce
innalzato alla vita.
refusi
Premessa
Innanzi tutto vorrei precisare che in questo scritto non vuole esserci assolutamente nulla di irriverente nei confronti di nessun essere superiore ne dileggiare alcuna fede, solo si limita a prendere in considerazione in forma metaforica, quello che è stato e che è tutt’ora il comportamento, di alcuni, troppi, loro proseliti.
Erano passati duemila anni dall’ultimo raduno, un eternità secondo il calcolo umano del tempo, un inezia invece se considerati dal punto di vista di chi, come loro, era immortale e Buddha, presidente di turno in carica, decise che fosse tempo di indire una nuova riunione per eleggere il presidente che sarebbe rimasto in carica per i successivi duemila anni e per programmare le sorti del mondo che era stato loro affidato. Pertanto si apprestò a convocare tutti gli altri dei e si diresse immediatamente verso il luogo prefissato per l’incontro, visto che fra dei la convocazione aveva il carattere immediato e rimase ad attendere gli altri. I primi a giungere furono gli indiani, Brhama Siva e Visnù seguiti a ruota da un Manitou più rosso del solito, anzi per la verità risultava essere incazzato nero, poi più nessuno, Buddha malgrado la sua grande calma cominciava a spazientirsi, che fine avevano fatto gli altri? Non era mai successo prima di allora che ci fossero stati ritardi. Quando ad un tratto sopraggiunsero due figure nuove.
“E voi chi sareste?” chiese incuriosito Buddha.
“Dio” risposero all’unisono.
“Anch’io” ripeterono poi ancora contemporaneamente guardandosi in cagnesco.
“Andiamo per ordine”, intervenne allora Buddha, si presentò, presentò gli altri dei indiani che avevano assistito all’arrivo, poi rivolgendosi al primo chiese “Tu chi sei?”
“Io sono Dio/Allah”, rispose l’interpellato.
“E tu?” fece poi all’altro.
“Io sono Dio/Dio” rispose quest’ultimo, “Anche se, – aggiunse – in passato anch’io ero conosciuto come Allah da alcune popolazioni, anzi una di questi mi chiama ancora così, oppure Geova”
“Oh Cristo” fece allora spazientito Dio/Allah.
“No, quello è mio figlio” , precisò allora Dio/Dio/Allah/Geova
Buddha, ebbe il sospetto che questo nuovo dio avesse preso qualche difetto dagli dei greci e sovvenendosi allora della loro assenza come di molti altri chiese:
“Ma che fine hanno fatto tutti gli altri dei? Dove sono Giove e la sua corte? Osiride ed Iside, Odino Ball e tutti gli altri?
“Emigrati altrove” , affermarono in coro Dio/Dio/Allah/Geova e Dio/Allah.
“E Quetzalcoatl, il serpente piumato?” insistette ancora Buddha.
“Esiliato. – rispose Dio/Dio/Allah/Geova – era solo un dio crudele, pretendeva sacrifici umani e poi – aggiunse – ho sempre odiato i serpenti.”
“Ed il suo popolo?”
“Convertiti “
“Tutti?”
“Tutti quelli che hanno accettato”
“E degli altri che ne è stato?”
“Sacrificati al loro dio quale dono di commiato”.
“Me ne vado anch’io, – fece proprio in quel momento Manitou che sino ad allora era rimasto silenzioso in disparte, – questo figlio di……..Dio, mi ha quasi sterminato in intero popolo, e……
“Padre, prego” interruppe Dio/Dio/Allah/Geova.
“…e credo che accetterò l’invito di Mercurio e Marte per andare a sciare alle Pleiadi” concluse Manitou, si allontanò dal gruppo con passo spedito e scomparve, seguito dallo sguardo di Dio/Dio/Allah/Geova che non si curava affatto di nascondere un sorrisetto di soddisfazione.
A quel punto Buddha, constatata l’assenza degli altri dei e la defezione di Manitou diede inizio con i presenti alla riunione ponendo all’ordine del giorno l’elezione del nuovo presidente che sarebbe rimasto in carica sino alla prossima sessione e che per il corso dei successivi duemila anni avrebbe impartito le direttive.
Secondo le regole il nuovo presidente avrebbe dovuto essere eletto in base dell’importanza raggiunta della religione da lui rappresentata in quel periodo sul pianeta, e qui sorse la disputa fra Dio/Allah e Dio/Dio/Allah/Geova. In quanto il primo chiedeva che le religioni venissero considerate sulla base degli adepti che le praticavano, mentre Dio/Dio/Allah/Geova chiedeva che la valutazione fosse fatta sulla base delle aree geografiche sulle quali le varie religione si erano diffuse, contando sul fatto che esistevano molte regioni dove le altre religioni erano praticamente inesistenti.
Buddha, prese nota delle richieste, le mise a verbale e visto che si era fatto tardi decise di aggiornare la seduta al giorno successivo e si appartò con gli indiani per dedicarsi al consueto pocherino. Rimasti soli Dio/Dio/Allah/Geova e Dio/Allah decisero di soprassedere al loro contenzioso e di dedicarsi a loro volta ad un passatempo, disposero a terra uno scacchiere, sistemarono i loro pezzi e si apprestarono ad iniziare il gioco, Buddha che in quell’attimo passava li osservò un attimo e poi non conoscendo il gioco incuriosito chiese “Di che gioco si tratta?” , – “ Risico” risposero entrambi ancora una volta all’unisono. Buddha allora li osservò giocare per alcuni istanti, poi rabbrividendo si chiese” Ma staranno veramente giocando?”
refusi
e mi dispiace un sacco davvero, mi spiace non poter essere presente in forum ed in blog, mi rincresce di non poter leggere i vostri post, i vostri messaggi, i vostri commenti, i vostri saluti. Cercherò di preparare qualche cosa che venga postato automaticamente nel corso della settimana, così non mi sentirò poi così lontano e avrò l’impressione di essere sempre qui con voi, mentre io sarò là. Sì là sopra in quel posto che vedete.
Vi immaginerò salutarvi ed augurarvi il buon appetito nella pausa pranzo mentre io sarò seduto alla Scottoni
a gustare un piatto di polenta e formaggio
oppure alla Punta Trieste chino su un tegame caldo e fumante di spaghetti alla carbonara.
Ma vi assicuro che la sera, mentre faticherò nel percorrere le ultime piste, il mio pensiero sarà ancora rivolto a voi seduti calmi e tranquilli nei vostri uffici o nelle vostre case.
Amore?
Una volta,
dal pensiero senza tempo
dell’uomo senza anni
nacque l’amore.
Ma cosa è, come è
l’amore?
E’ rosso? E’ verde?
E’ luminoso o oscuro?
Amore dolce e tenero,
triste e malinconico
di corpi lontani.
Selvaggio e passsionale
di desideri e voglie,
amore sensuale.
Amore! Amore!
Gaio o doloroso
tenero o crudele.
Amore,
ridotto a mercato
sotto a fioche luci
di lampioni
su sporchi marciapiedi,
Condito di giochi strani
per sedare
insaziabili voglie
che la noia accumula
nelle menti stanche.
Amore
Amore plagiato
osannante a Lesbo
o sorridente
al compiacente Trimalcione
dalla pendule gote.
Amore perfetto,
non soffrir per nessuno
Narciso
amò se stesso.
refusi
Stavano
sul ciglio di un tramonto
ad aspettare un alba.
Credo che tutti voi già leggendo il titolo abbiate qualche cosa da obiettare, nato col cappello? Ma da quando questa espressione è entrata nell’uso comune? Da mai, nato con la camicia, vi verrà da suggerire, questo sì, questo lo si sente dire spesso in riferimento a delle persone che dalla vita hanno avuto tutto ma che hanno saputo apprezzare e valorizzare questo fatto. Beh no, lui no, per lui non era così, lui era nato col cappello. Era uscito dalla tana in una fresca mattina primaverile e mai avrebbe voluto farlo, si stava così comodi là dentro, caldi, rilassati, nutriti senza sforzo alcuno, senza nessuna fatica, lontano da qualsiasi impegno o confronto. Ma suo malgrado era stato costretto ad uscire, forzato, spinto e subito fuori senza che nessuno avesse provveduto a sculacciarlo, come solitamente avviene secondo la prassi, aveva subito e chiaramente manifestato il proprio disappunto. Il luogo non gli piaceva, non gli piaceva nessuno di quegli esseri che soddisfatti e sorridenti si affaccendavano attorno a lui e ancora meno gli piaceva quella che in particolare lo osservava con un sorriso grande e che già immaginava di crescerlo, accudirlo amorevolmente, viziarlo e coccolarlo. No, non gli piaceva, ma immediatamente capì che la soluzione, stava tutta là un quel sorriso raggiante, in quello sguardo e decise così di ricorrere al cappello. Sì signori, per quanto a voi possa parere strano quel bimbo era venuto al mondo col cappello, no non in testa. In testa come tutti i bimbi appena nati aveva solo pochi e radi capelli, il cappello lo teneva gia stretto saldamente in mano, aspettava solo il luogo adatto per poterlo appendere. Crebbe fra amorevoli cure mai apprezzate, viziato e coccolato oltre ogni dire, insoddisfatto, altro lui chiedeva alla vita, lui lì non avrebbe voluto esserci quindi riteneva di essere creditore nei confronti di quanti in quelle condizioni lo avevano posto, altrui era l’obbligo di rendere la sua vita piacevole e riposante, il suo cappello ora era là, appeso all’appendi abiti infisso alla parete e là sarebbe rimasto sino a quando a lui avrebbe fatto comodo. Crebbe senza amici, non tollerava, naturalmente ricambiato, nessuno degli altri bambini, così frenetici, rumorosi, allegri, non amava i loro giochi, le loro corse le loro risate, le giudicava un inaccettabile ed inutile spreco di energie, lui trascorreva il suo tempo lesinando su tutto anche sul respiro. Non frequentò mai una scuola statale, sin dalle elementari la sua educazione fu affidata a seri e compassati preti che gestivamo un collegio privato, là dentro lui crebbe protetto, lontano dal clamore della strada, dai giochi violenti e rumorosi degli altri bambini, dal rischio e dalle competizioni. Là lui appese un’altra volta il cappello, dedicandosi svogliatamente agli studi, giusto quel tanto che sarebbe bastato per conseguire la promozione all’anno successivo, sino a raggiungere così senza colpo ferire la licenza media. Raggiunti i quattordici anni lasciò il collegio e tornò a riappendere quel cappello all’appendi abiti che lo aveva visto crescere, tornando fuori fra quelle strade e fra quella gente che mai aveva saputo apprezzare. La cosa naturalmente a lui non piacque per nulla, lì si doveva combattere, ci si doveva confrontare, il pane da portare alla bocca lo si doveva guadagnare giorno dopo giorno, quella vita non faceva per lui, lui aveva il cappello ed ancora una volta opportunamente vi fece ricorso. Decise di entrare in seminario, là nessuno avrebbe potuto attaccarlo ferirlo, ostacolarlo in quel cammino di facile sopravvivenza che, grazie al cappello, si era scelto.
Purtroppo per lui non aveva considerato una cosa, il desiderio, sì quello spiritello che malgrado la protezione dell’abito nero che già indossava quale seminarista, malgrado il cappello saldamente appeso alla parete della camerata, quello spiritello si era impossessato di lui stravolgendo il suo quieto esistere, i suoi piani futuri, rendendo precario l’appoggio del cappello alla parete. Fu allontanato dal seminario alcuni anni dopo, proprio alla soglia della sua consacrazione a sacerdote. Il fatto non fu mai accettato dalla madre che già pregustava la nomina del figlio a sacerdote e la gioia di poter sfoggiare presso le amiche quel figlio prete. Da quel giorno non mancò mai di rinfacciare al figlio la sua delusione, il suo dispetto, la frustrazione per quello che lai riteneva un affronto fatto al buon nome della famiglia. Per un attimo era rimasto col cappello fra le mani, ricollocato su quella strada, in quel mondo che lui non amava e nel quale sarebbe stato costretto vivere. Mestamente appese nuovamente il cappello sull’appendi abiti della parete di casa, e si accinse tramite conoscenze a cercare un lavoro che avesse potuto garantirgli la sopravvivenza, così sempre grazie al cappello ed alla raccomandazione di quegli stessi che lo avevano allontanato dal seminario ma che bonariamente avevano deciso di aiutarlo nella vita. Grazie alle loro raccomandazioni appunto, fu assunto all’interno di una struttura statale, in un impiego di incerte ed indefinite funzioni ma che gli garantiva uno stipendio fisso ad ogni fine del mese, anche qui trovò subito il modo di primeggiare raggiungendo in breve tempo il record sull’assenteismo. Ma il cappello era nuovamente lì, saldamente appeso alla parete e sempre grazie a raccomandazioni ed a conoscenze riuscì ad evitare anche quel servizio militare che da tempo disturbava i suoi pensieri e le sue notti, allontanando ancora una volta il rischio di qualsiasi confronto. Gli anni passavano, la sua posizione per quanto assolutamente comoda all’interno di quella struttura rimaneva immutata, tollerata, mentre in casa la situazione stava cambiando. Quella figura che nei tempi passati lo aveva amorevolmente cresciuto, ma che ora, pur continuando ad accudirlo, lo guardava quasi con disprezzo, stava velocemente invecchiando e l’appoggio del cappello alla parete stava diventando sempre più instabile. Occorreva trovare una soluzione rapida, una soluzione che gli consentisse di appendere il cappello in una posizione più sicura, duratura e che nel medesimo tempo gli permettesse di soddisfare, almeno temporaneamente, quel desiderio che ancora come un tarlo lo rodeva dentro e che rendeva insicura la sua voglia di stabilità. La soluzione gli si presentò poco tempo dopo, incarnata in una donna che aveva avuto modo di conoscere tempo prima, belloccia, lavoratrice, benestante e che provava una certa attrazione nei suoi confronti. La decisione di approfittare dell’occasione e di accasarsi fu immediata ed il cappello tornò ad essere stabilmente e sicuramente appeso ad una parete. Passarono molti anni ed il trascorrere della vita continuò a svolgersi nel medesimo monotono tran tran, il solito lavoro, o meglio il solito non lavoro, non era mai progredito nel corso di tutti quegli anni in cui si era distinto solo nella costante diminuzione della produttività e nell’ aumento progressivo delle ore di assenza. Il solito squallido menage familiare, con una compagna inacidita dagli anni e dalle fatiche ma comunque fedele e quel suo desiderio sempre presente, inappagato e privo di sbocchi. Ora cominciava ad invecchiare, i capelli ormai praticamente scomparsi dalla fronte faticavano, malgrado le continue tinture, a mantenere il colore originale, una vita sedentaria priva di qualsiasi attività, di sport e di movimento, lo aveva appesantito, quasi sformato e l’adipe pronunciata debordava dalla cinta dei pantaloni. Dalla parete il cappello osservandolo cominciò a pensare come fosse ora di trovare un nuovo padrone.
refusi
Capita spesso in questo giorno di ripetere puntualmente i propositi che di anno in anno si presentano puntuali e pressoché identici, ma capita anche di rincorrere dei ricordi, di risalire a capodanni lontani, magari vicino alla nostra adolescenza o poco più, ad anni diversi per situazioni ed aspetti. Anni in cui ci si innamorava di quella ragazzina bionda o mora, compagna di classe, conosciuta al lido, o incrociata tutti i giorni lungo la strada. Quella che ci salutava con uno sguardo e con un sorriso, quella che ci strozzava le parole in gola tanto da impedirci di pronunciare un semplice ciao, quella con cui avremmo voluto solo e semplicemente camminare, mano nella mano lungo una strada qualsiasi. Ma questa era una situazione che a quei tempi, non eravamo così svegli come i ragazzini di oggi, sotto certi aspetti eravamo un po’…. ritardati e non so dire se questo fosse un male od un bene, comunque stavo dicendo a quei tempi salvo sporadiche, molto sporadiche, avventurette di altro genere e tutte alquanto raffazzonate e confuse, la sitiuazione più difffusa era questa, dentro alla nostra testa erano sempre presenti due occhi ed un sorriso che ci facevano sognare, che ci ispiravano le prime malinconiche poesie che ci facevano scrivere d’amore, naturalmente di un amore non corrisposto visto che allora sembra si usasse così…………………..
Ora voglio ricordare una ragazza e quel ragazzo che nei remoti 1971/72 così scriveva:
31 Dicembre 1971
Ultimo giorno dell’anno,
festa privata a casa mia
per festeggiar la fine,
io, e
le mie tre donne.
Attorno a una tavola imbandita
abbiamo ricordato,
riso e pianto
io, e
le mie tre donne.
Poi
non abbiamo saputo
aspettar la mezzanotte
anzitempo,
abbiam levato i calici
e brindato
e poi
di corsa a letto,
io, e
la mie tre donne
a festeggiar la fine,
stretti
in un solo abbraccio,
io, e
la mie tre donne.
Io,
la mia tristezza,
la mia malinconia
e la tua immagine.
Refusi
1 Gennaio 1972
Primo giorno dell’anno,
cieli grigi di pioggia
rispecchiano
il mio umore.
Anno nuovo,
voglia di cambiare.
Voglio licenziare
senza troppi patemi,
le mie tre donne,
silenziose compagne.
La tristezza,
oh la tristezza sì,
l’annegherò
nei fondi di bicchiere.
La malinconia
la rivestirò di neve
disegnando il volto
di un sorriso stralunato,
perché così ferita,
non voglia più tornare.
Ma la tua immagine,
che ne farò
della tua immagine?
Certo non potrò
annegarla nel vino,
che i fondi di bicchiere
come maligne lenti
la restituirebbero
più vivida e più grande.
Ne potrò
rivestirla di neve
che il tuo calore
scioglierebbe
come un sole d’aprile.
Potrei nasconderla,
forse,
dentro altri corpi
e cancellare con loro
il tuo sorriso.
Ma finirei, poi
per chiamarli col tuo nome.
refusi