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Nato col cappello

Credo che tutti voi già leggendo il titolo abbiate qualche cosa da obiettare, nato col cappello? Ma da quando questa espressione è entrata nell’uso comune? Da mai, nato con la camicia, vi verrà da suggerire, questo sì, questo lo si sente dire spesso in riferimento a delle persone che dalla vita hanno avuto tutto ma che hanno saputo apprezzare e valorizzare questo fatto. Beh no, lui no, per lui non era così, lui era nato col cappello. Era uscito dalla tana in una fresca mattina primaverile e mai avrebbe voluto farlo, si stava così comodi là dentro, caldi, rilassati,  nutriti senza sforzo alcuno, senza nessuna fatica, lontano da qualsiasi impegno o confronto. Ma suo malgrado era stato costretto ad uscire, forzato, spinto e subito fuori senza che nessuno avesse provveduto a sculacciarlo, come solitamente avviene secondo la prassi, aveva subito e chiaramente manifestato il proprio disappunto. Il luogo non gli piaceva, non gli piaceva nessuno di quegli esseri che soddisfatti e sorridenti si affaccendavano attorno a lui e ancora meno gli piaceva quella che in particolare lo osservava con un sorriso grande e che già immaginava di crescerlo,  accudirlo amorevolmente, viziarlo e coccolarlo. No, non gli piaceva, ma immediatamente capì che la soluzione, stava tutta là un quel sorriso raggiante,  in quello sguardo e decise così di ricorrere al cappello. Sì signori, per quanto a voi possa parere strano quel bimbo era venuto al mondo col cappello, no non in testa. In testa come tutti i bimbi appena nati aveva solo pochi e radi capelli, il cappello lo teneva gia stretto saldamente in mano, aspettava solo il luogo adatto per poterlo appendere. Crebbe fra amorevoli cure mai apprezzate, viziato e coccolato oltre ogni dire, insoddisfatto, altro lui chiedeva alla vita, lui lì non avrebbe voluto esserci quindi riteneva di essere creditore nei confronti di quanti in quelle condizioni lo avevano posto, altrui era l’obbligo di rendere la sua vita piacevole e riposante, il suo cappello ora era là, appeso all’appendi abiti infisso alla parete e là sarebbe rimasto sino a quando a lui avrebbe fatto comodo. Crebbe senza amici, non tollerava, naturalmente ricambiato, nessuno degli altri bambini, così frenetici, rumorosi, allegri, non amava i loro giochi, le loro corse le loro risate, le giudicava un inaccettabile ed inutile spreco di energie, lui trascorreva il suo tempo lesinando su tutto anche sul respiro. Non frequentò mai una scuola statale, sin dalle elementari la sua educazione fu affidata a seri e compassati preti che gestivamo un collegio privato, là dentro lui crebbe protetto, lontano dal clamore della strada, dai giochi violenti e rumorosi degli altri bambini, dal rischio e dalle competizioni. Là lui appese un’altra volta il cappello, dedicandosi svogliatamente agli studi, giusto quel tanto che sarebbe bastato per conseguire la promozione all’anno successivo, sino a raggiungere così senza colpo ferire la licenza media. Raggiunti i quattordici anni lasciò il collegio e tornò a riappendere quel cappello all’appendi abiti che lo aveva visto crescere, tornando fuori fra quelle strade e fra quella gente che mai aveva saputo apprezzare. La cosa naturalmente a lui non piacque per nulla, lì si doveva combattere, ci si doveva confrontare, il pane da portare alla bocca lo si doveva guadagnare giorno dopo giorno, quella vita non faceva per lui, lui aveva il cappello ed ancora una volta opportunamente vi fece ricorso. Decise di entrare in seminario, là nessuno avrebbe potuto attaccarlo ferirlo, ostacolarlo in quel cammino di facile sopravvivenza che, grazie al cappello, si era scelto.

Purtroppo per lui non aveva considerato una cosa, il desiderio, sì quello spiritello che malgrado la protezione dell’abito nero che già indossava quale seminarista, malgrado il cappello saldamente appeso alla parete della camerata,  quello spiritello si era impossessato di lui stravolgendo il suo quieto esistere, i suoi piani futuri, rendendo precario l’appoggio del cappello alla parete. Fu allontanato dal seminario alcuni anni dopo, proprio alla soglia della sua consacrazione a sacerdote. Il fatto non fu mai accettato dalla madre che già pregustava la nomina del figlio a sacerdote e la gioia di  poter sfoggiare presso le amiche quel figlio prete.  Da quel giorno non mancò mai di rinfacciare al figlio la sua delusione, il suo dispetto, la frustrazione per quello che lai riteneva un affronto fatto al buon nome della  famiglia. Per un attimo era rimasto col cappello fra le mani, ricollocato su quella strada,  in quel mondo che lui non amava e nel quale sarebbe stato costretto vivere. Mestamente appese nuovamente il cappello sull’appendi abiti della parete di casa, e si accinse tramite conoscenze  a cercare un lavoro che avesse potuto garantirgli la sopravvivenza, così sempre grazie al cappello ed alla raccomandazione di quegli stessi che lo avevano allontanato dal seminario ma che bonariamente avevano deciso di aiutarlo nella vita. Grazie alle loro raccomandazioni appunto, fu assunto all’interno di una struttura statale, in un impiego di incerte ed indefinite  funzioni ma che gli garantiva  uno stipendio fisso ad ogni fine del mese, anche qui trovò subito il modo di primeggiare raggiungendo in breve tempo il record sull’assenteismo. Ma il cappello era nuovamente lì, saldamente appeso alla parete e sempre grazie a raccomandazioni ed a conoscenze riuscì  ad evitare anche quel servizio militare che da tempo disturbava i suoi pensieri e le sue notti, allontanando ancora una volta il rischio di qualsiasi confronto. Gli anni passavano, la sua posizione per quanto assolutamente comoda all’interno di quella struttura rimaneva immutata, tollerata, mentre in casa la situazione stava cambiando. Quella figura che nei tempi passati lo aveva amorevolmente cresciuto, ma che ora, pur continuando ad accudirlo,  lo guardava  quasi con disprezzo, stava velocemente invecchiando e l’appoggio del cappello alla parete stava diventando sempre più instabile. Occorreva trovare una soluzione rapida, una soluzione che gli consentisse di appendere il cappello in una posizione più sicura, duratura e che nel medesimo tempo gli permettesse di soddisfare, almeno temporaneamente, quel desiderio che ancora come un tarlo lo rodeva dentro e che rendeva insicura la sua voglia di stabilità. La soluzione gli si presentò poco tempo dopo, incarnata in una donna che aveva avuto modo di conoscere tempo prima, belloccia, lavoratrice, benestante e che provava una certa attrazione nei suoi confronti. La decisione di approfittare dell’occasione e di accasarsi fu immediata ed il cappello tornò ad essere stabilmente e sicuramente appeso ad una parete. Passarono molti anni ed il trascorrere della vita continuò a svolgersi nel medesimo monotono tran tran, il solito lavoro,  o meglio il solito non lavoro, non era mai progredito nel corso di tutti quegli anni in cui si era distinto solo nella costante diminuzione della produttività e nell’ aumento progressivo delle ore di assenza. Il solito squallido menage familiare, con una compagna inacidita dagli anni e dalle fatiche ma comunque fedele e quel suo desiderio sempre presente, inappagato e privo di sbocchi. Ora cominciava ad invecchiare, i capelli ormai praticamente scomparsi dalla fronte faticavano, malgrado le continue tinture, a mantenere il colore originale, una  vita sedentaria priva di qualsiasi attività, di sport e di movimento, lo aveva appesantito, quasi sformato e l’adipe pronunciata debordava dalla cinta dei pantaloni. Dalla parete il cappello osservandolo cominciò a pensare come fosse ora di trovare un nuovo padrone.

 

                                                                                                                                 refusi

Nato col cappelloultima modifica: 2008-01-10T18:45:00+01:00da
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