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Giu 15, 2017 - racconti brevi    1 Comment

In alto, tutto è più buono.

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Ma quanto manca? La tua voce mi giunge alle orecchie, suona affaticata, il respiro affannoso, la gola secca, da due ore siamo su un sentiero che sale verso il giacciaio. Non è particolarmente difficile come sentiero ma è impervio, quando cammino chino in avanti sotto il peso dello zaino sembra che i sassi mi debbano sbattere in fronte. Poco ancora poco, rispondo, si e no dieci miniti. Rispondo senza girarmi, anch’io ho il fiatone e per quanto il panorama visto da lì sia bellissimo, non mi volto per evitare quella sensazione che ti prende quando sei in alto ed affaticato, quella di poter perdere l’equilibrio e rotolare di sotto. Uno sguardo verso l’alto, un respiro profondo e via, gli occhi fissi concentrati sulla punta degli scarponi, avanti, avanti, passo dopo passo. La stanchezza si fa sentire, e anche i pensieri che di solito mi accompagnano mentre salgo cominciano a latitare, così come sempre inizio a contare i passi, un, due, tre, …..contocinque……….duecentodieci.. ………… Quanto manca ancora?  La tua voce mi raggiunge nuovamente e per la terza volta mi chiede quanto manca ed io sempre a risponderti poco,  ancora poco si e no dieci minuti, e nel frattempo è già trascorsa più di un ora.
Ma questa volta è vero, manca poco, basta girare là dove il sentiero curva e si perde nel cielo, dai questa volta siamo quasi arrivati, un sorso d’acqua e avanti dai, e si ricontano i passi, uno, due, tre, …
centodieci………….duentoottantasette. Improvvisamente il sentiero volta, spiana, e incassato tra due cime chiuso in una piccola valletta, il ghiacciaio. Non e un ghiacchiaio enorme, è lungo solo un migliaio di metri e largo si e no duecento, ma è comunque impressionante da vedere, siamo arrivati, stanchi sudati e l’aria  che scende nella valletta più che fresca è gelida, ma restiamo lì in contemplazione stanchi, sudati, vestiti solo delle bermuda e dei calzettoni, in quanto la prima cosa che abbiamo fatto appena arrivati è stata quella di togliere gli scarponi. Respiriamo a pieni polmoni, guardiamo verso le cime e verso valle cercando di scorgere, giù alle pendici, il piccolo paese dal quale siamo partiti qualche ora prima, poi come un rito, ci chiniamo a bere l’acqua che in piccoli rivoli e cascatelle si disperde dal nevaio. Ci asciughiamo dal sudore e ci laviamo rabbrividendo con quell’aqua gelida, per coprirci subito dopo con camicia, felpa o maglione, il cielo è di un blu intenso, il sole è alto ed è anche caldo e forse dopo se troveremo un piccolo affranto, al riparo dal vento, ci sdraieremo un po’ a prendere il sole, ma per ora ci sediamo su alcuni massi ai lati del ghiacciaio, apriamo gli zaini e, sul masso più grande e più piano approntiamo una tavola improvvisata, l’acqua il vino, si prendono i panini , si sono conservati abbastanza bene sono ancora croccanti, si tagliano col coltello e si inizia il rito, il taglio del salame, fette corpose, rosse, profumate. Mentre io taglio lei le libera della pelle e le dispone ordinatamente all’interno del pane, e in quell’aria fredda si respira per un attimo l’accattivante profumo del pane e salame, sino a quando quasi con frenesia affondiamo i denti nel pane, per il primo saporito boccone ed è quasi estasi. Un bicchiere di vino o di acqua, e in silenzio si continua a masticare quel pane e salame che sembrano le cose più buone che esistano al mondo. In alto, tutto è più buono. Dopo ci aspetta il ritorno e sarà altrettanco faticoso che la salita, ma questa è un altra storia, e in noi per sempre rimarrà il ricordo di quella fatica, di quel piccolo ghiacciaio, di quel pane e salame.

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Giu 13, 2017 - racconti brevi    Commenti disabilitati su Italia Germania 4a 3, ovvero mademoiselle C…….

Italia Germania 4a 3, ovvero mademoiselle C…….

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Correva l’anno 1969, finito il servizio militare da pochi mesi, avevo da poco trovato un nuovo impiego più interessante e meglio remunerato quale responsabile commerciale presso una locale azienda operante nel settore tessile. Il nuovo lavoro comportava la conoscenza della lingua francese, visto che era per la gestione delle vendite su tale mercato che ero stato assunto, pertanto, visto che le mie conoscenze di questo idioma risalivano ai lontani tempi delle scuole medie e non era di certo esaltante, decisi di iscrivermi ad una scuola serale per migliorarne la conoscenza.

Fu così che ti conobbi, mademoiselle C………. , insegnante ventitreenne, francese di origine italiana, Varesina per l’esattezza, bruna formosa, occhi neri, sguardo sognante, con quel canino superiore al lato destro della bocca leggermente spostato in avanti che rendeva il tuo dolce sorriso involontariamente provocante e con quell’immancabile erre moscia, fRancese come amavi specificare, un po’ per vezzo un po’ per scusa.
Ricordo l’inizio dell’anno, in classe una quindicina di ragazze, nessuna degna di attenzione e una decina di ragazzi, fra i quali un paio, a giudizio delle allieve, proprio niente male, e tu che sembravi uscita da una telenovela, ora potrei dirlo, allora non esistevano ancora. Camicetta bianca, golf azzurro di cachemire, che più che nascondere accentuava le curve del seno, gonna nera a tubo, francesine mezzo tacco, l’abbigliamento classico delle insegnati del tempo che non riusciva comunque a nascondere la freschezza della tua giovane età e le provocanti forme del tuo corpo. Iniziò subito la gara, fra noi alunni per attirare la tua attenzione, io me ne restavo un po’ in disparte, ero molto timido allora ed insicuro dei miei mezzi, timido lo sono ancora, ma mi conosco molto meglio. Non mi spiegavo l’attenzione che allora mi dedicavi, mademoiselle, ritenevo fosse dovuta al fatto che io con già un infarinatura delle tua lingua, fossi quello che meglio si prestava alle conversazioni in francese che tu tenevi per oltre meta del tempo di lezione. Così trascorse quasi tutto l’anno scolastico, dove la lingua non si studiava più per un fattore di studio, almeno per quanto riguardava noi ragazzi, ma solo per farti piacere, in una sorta di competizione per la conquista di un premio, sino a quella sera di maggio. Un maggio del 1970, l’anno dei mondiali di calcio in Messico, quella sera in cui si scatenò un temporale, e subito ci fu chi cerco di approfittarne offrendoti un passaggio con l’auto, ma tu declinasti l’invito, e mi guardasti sorridendo, non so come trovai il coraggio ma………..“ Ho l’ombrello in macchina- proposi- se vuole l’accompagno così facciamo quattro passi a piedi“. Sorridesti ancora ed accettasti l’invito, c’incamminammo così, sotto quell’unico ombrello lungo le vie del centro, non abitavi molto lontano dalla scuola, solo pochi minuti che però a me parvero eterni, mentre io faticavo a spiaccicare parola, e tu mi raccontavi dei tuoi trascorsi di bimba, presso i nonni in quel di Luino, sulle sponde di un lago non molto distante e simile a quello sulle cui sponde risiedevo, ma comunque a me allora sconosciuto.
Dopo quella sera ne vennero altre, sere senza pioggia, tiepide sere primaverili nelle quali io sempre a piedi ti accompagnavo lungo le strade sino a casa, un po’ meno silente, raccontando anch’io le bellezze di quell’altro lago che meglio conoscevo, quasi in una disputa, ognuno a vantare con foga le bellezze dei luoghi, che conosceva, sino a quella sera in cui tu ti proponesti di farmi da cicerone per farmi visitare, in una gita domenicale, i luoghi amati della tua infanzia. Quella domenica, il 19 giugno 1970, la domenica di Italia Germania dei mondiali di calcio. Passai a prenderti al casa poco dolo le 13 di quella domenica ormai estiva, soleggiata e calda, con la mia auto, una Fiat 600, Abarth diceva lo scudetto blu e rosso con lo scorpione applicato ai fianchi della vettura, ma che probabilmente assieme alla marmitta ed ai tubi di scappamento maggiorati, era tutto quello che di Abarth possedeva quella vettura. Mi venisti incontro con una camicetta rosa aperta un foulard dello stesso colore al collo, una mini scozzese rossa e nera e sandaletti col tacco, salisti sull’auto sorridente e ti accomodasti sul sedile, ed io ricordo, rischiai subito l’incidente, intento mio malgrado a sbirciare quelle gambe che cosi provocanti uscivano da quel lembo di stoffa. Ci avviammo così, verso quei luoghi che tu tanto ben conoscevi, verso Luino, e poi su in una valle del luogo sino ad un rifugio, di cui non ricordo il nome e dal quale si poteva ammirare il panorama del lago, a sud Arona e le isole Borromeo e a nord su sin quasi a Locarno ed alla Svizzera, e tu che col sorriso negli occhi mi raccontavi i tuoi trascorsi e con malinconia il ricordo dei nonni che ti avevano accompagnato nella tua infanzia. Si era fatto quasi sera e prendemmo così la vie del ritorno, quella sera l’appuntamento per me era al bar, con gli amici tutti a tifare Italia, la partita sarebbe iniziata alle 19 ore italiane, arrivammo così sotto casa tua, scesi per salutarti accompagnandoti al portone e, fu lì che tu mi chidesti :“Vuoi salire a farmi compagnia, così guardiamo assieme la partita.” Cerco ancora oggi di ricordare esattamente cosa successe, cosa mi spinse a rispondere di no, risposi di no,capite di no, con un monosillabo distruggevo un sogno, mi scusai, farfuglia degli amici al bar , che non volevo disturbare; si ricordo ancora come tu più volte in classe, forse per evitare domande imbarazzanti o forse perché vero dicesti di dividere l’appartamento con una dolce vecchietta che ti ospitava , ma ancora oggi mi chiedo se non sia una scusa da me aggiunta al ricordo per giustificare la mia stupidità. Ricordo la sera dopo, lunedì lezione , entrasti in classe mentre noi ancora infervorati discutevamo del risultato di quella partita e tu allora, con aria indifferente rivolta verso la classe ma fissandomi negli occhi dicesti. “Si anch’io ho visto la partita, ma ho dovuto guardarla da sola, la signora che mi ospita era in visita dalle sue amiche e non è rientrata che oggi.” Non ho pianto, ma avrei voluto farlo, avrei voluto urlare la mia stupidità al mondo, avrei voluto chiederti scusa, per non avere capito, per avere preferito la compagnia di un gruppo di persone urlanti alla tua, ma quella sera non trovai il coraggio di farlo, ne quella sera ne poi, anche perché tu, ferita, mi evitasti e non cercasti più la mia compagnia.
L’anno scolastico ormai era alla sua fine e tu annunciasti che la settimana seguente saresti rientrata in Francia, dandoci appuntamento all’anno successivo. Passarono i mesi estivi io tornai dalle ferie, ripresi il lavoro e mi iscrissi al corso di perfezionamento, attesi con ansia l’inizio delle lezioni con il fermo desiderio di porgerti quelle scusa che non avevo trovato il coraggio di fare, col desiderio di rimediare e la prima sera entrato in aula guardai verso la cattedra, ma non c’eri tu, una gentile signora quarantenne mi invitò con un sorriso a prendere posto…………….
Non ti ho più rivista mademoiselle C……………..ma sei rimasta sempre nei miei ricordi ………col tuo volto, col tuo sorriso e con l’offerta di quel dono che io stupido non sono stato in grado di capire e di accettare e tutte le volte che qualcuno parlando di sport ricorda il fascino di quelle vittoria del calcio italiano, dentro associato al ricordo ho un velo di malinconia per ciò che non è stato e da allora, ho avuto altri rimpianti, quelli di essermi perso alcune partite della nazionale italiana nel corso di altri mondiali.

Feb 1, 2012 - racconti brevi    2 Comments

Mida moderno

 

essere e apparire

 

Era ricco, ma non abbastanza, potente ma non quanto avrebbe desiderato. Mangiava pochissimo, non perchè non amasse mangiare ne la buona cucina, ma solo perchè considerava un enorme spreco dover spendere soldi anche per quello che poi a fine digestione sarebbe ineluttabilmente finito dentro la tazza del “cesso”. Desiderava essere sempre più potente e sempre più ricco, avrebbe voluto essere come Re Mida, trasformare in oro tutto quello che avrebbe potuto toccare. Così, quando inaspettatamente e per un occasione del tutto fortuita gli fu concesso di esprimere un desiderio che si sarebbe avverato, il primo impulso fu quello di chiedere di essere appunto come Re Mida, poter trasformare in oro tutto ciò che avrebbe toccato. Ma all’ultimo momento un dubbio lo trattenne. Se tutto quello che avesse toccato si fosse strasformato in oro, non avrebbe più potuto mangiare, bere, fare all’amore, cosa a cui non poteva assolutamente rinunciare. Così, ricordandosi improvvisamente della gallina dalle uova d’oro, pensò bene di mediare la cosa. Avrebbe potuto mangiare e bere, senza il fastiodio di doverlo considerare un inutile spreco. Chiese che i suoi escrementi si trasformassero in oro non appena evacuati. E così fu. Non appena i resti reflui lasciavano l’intestino a contatto con l’aria assumevano subito un bel colore giallo brillante, solidificavano e si trasformavano in oro. La sua gioia fu grande. Ora avrebbe potuto mangiare tutte le cose più prelibate e costose, avrebbe soddisfatto nel modo migliore il proprio palato  considerando che gli scarti avrebbero lautamente compensato il suo piacere. Ma per sua disgrazia non gli riusci mai di vendere un solo grammo di quell’oro. Sì perchè per quanto fosse oro puro, giallo, brillante e solido, puzzava sempre di merda.

Morale della favola, non importa quanto tu faccia per apparire diverso, se sei uno stronzo rimarrai sempre tale.

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Mar 12, 2010 - racconti brevi    11 Comments

Il sabato del pensionato

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Capita anche a voi vero di svegliarsi al mattino non riuscire più a dormire e decidere così all’improvviso di andare a sciare??? Nooo? beh a me capita. Questa mattina per non so quale ragione mi sono svegliato presto o così mi è parso di capire della luce che filtrava dalla tapparella, non riuscendo a riaddormentarmi decido di alzarmi a fare colazione. Mi alzo guardo oltre i vetri della finestra sul terrazzo il cielo e limpido non vi è traccia di una sola  nuvola ed il vento che il giorno prima aveva imperversato sembra essersi calmato. Sono la 7,45. Faccio colazione e mentre sorbisco il tè penso che si potrebbe anche andare a sciare. Ormai son o le 8. Naaaaaaa mi dico non ne vale la pena, devo prepararmi, fare la strada, arriverei a Madesimo dopo le 9,30 e difficilmente potrei essere sulle poste prima delle 10,30 e in più è sabato folla agli impianti, folla sulle piste. Non ne vale la pena. Torno a letto. Ma ormai l’idea che si potrebbe andare a sciare si è insinuata nel mio cranio. Impossibile riprendere sonno. All’improvviso l’illuminazione, la Sighignola. Sì è vero il luogo e piccolo, non so neppure se è ancora in funzione, ci sono stato una sola volta una 15ina di anni fa, un campetto scuola, uno skilift e due piste parallele lunghe all’incirca un km. Beh un chilometro è pur sempre un chilometro direte voi. Sì se lo fate a piedi con gli sci è quasi un sospiro. Ma che importa mi dico provare non costa nulla tanto di dormire non se ne parla, il luogo dista solo una 30ina di km da casa tutt’al più avrò fatto una passeggiata. Mi vesto in un attimo scendo carico la macchina e parto. Prima delle nove sono già sul posto. Salendo non ho incontrato una sola auto. Mi sorge il dubbio che quei piccoli impianti non siano più in funzione, poi al parcheggio scorgo un bimbo in compagnia del padre che sta calzando gli scarponi. Bene, mi dico si scia. Parcheggio calzo gli scarponi, prendo gli sci e mi avvio.  Il luogo è come lo ricordavo, piccolo vero, ma ben innevato, a lato del campo scuola dove alcuni bimbi stanno già sciando con l’ausilio dei maestri al posto del piccolo skilift è stato posto un tapis roulant per facilitare la risalita ai bimbi. Attraverso la baby e mi porto sulla pista ed inizio a scendere in perfetta solitudine, non c’è nessuno. La pista non è difficile anzi, ma le neve è una crosta dura e si deve sciare con attenzione. Ora capisco perché sono il solo, gli altri aspettano che la giornata si scaldi e che la neve si allenti un po’ per poter sciare con più tranquillità. Risalgo e scendo sull’altra pista, qui la neve è più morbida e gli sci faticano meno a fare presa, sono quasi giunto in fondo quando scorgo all’incrocio delle due piste un fagottino rosso per terra che armeggia con i bastoncini cercando di rialzarsi. E’ una bimba, gli chiedo se abbia bisogno di aiuto, sempre meglio farlo con i bimbi che stanno imparando, mai intervenire se non richiesti, anche loro hanno il loro orgoglio. Mi risponde di sì, così la rimetto in piedi l’aiuto a calzare nuovamente gli sci e l’accompagno sino alla partenza dell’impianto dove il padre suppongo la sta ad aspettare. “Ciao signore grazie, un sorriso e va. Risalgo anch’io e comincio il saliscendi, certo e un po’ monotono. Su, giù- Su, giù. Ma la giornata e bella le neve anche e la pista divertente e poi ci sono gli intermezzi recupero bimbi. Sì perché nel corso delle giornata in più di un occasione dovrò dare una mano ad un bimbo caduto sulla pista o sganciatosi a metà sull’impianto, la cosa ha un che di divertente, vedere i loro sorrisi e ascoltare quel ciao signore grazie. Ad un certo punto m i viene quasi il dubbio che mi abbiano scambiato per l’addetto al soccorso. Sulle piste nel frattempo è arrivata altra gente, sono le 11 e decido di fare una pausa. Salgo, sgancio gli sci e mi reco al rifugio. La costruzione e bella e ben tenuta. Fuori in pietra a viste e all’interno legno massello, simpatica, decido che mi fermerò a mangiare. Al bar una ragazza carina, capelli lisci e neri occhi scuri,  mi guarda, sorride e sembra incantarsi per un attimo prima di chiedermi cosa voglio. Ehi credo di avere fatto colpo. Ordino un bombardino, lo sorseggio con calma, mentre lei, continua ad osservarmi. Pago e saluto lei saluta e sorride, arrivederci. Torno a sciare e già alla prima discesa, o meglio salita, il carro recupero bimbi entra in funzione. A metà salita il bimbo che mi precede scivola e cade sganciandosi del piattello. Lo raggiungo mi sgancio lo sollevo e lo accompagno sul bordo, trovo un sentiero che conduce alla pista e piano piano la raggiungiamo. Il tempo di arrivarci e una donna sulla trentina arriva sciando scivola e mi frana addosso, reggo all’urto e blocco anche lei. Il bimbo ride, “Zia sei caduta anche te” “Sì -dice lei- ero andata a chiamare lo zio per aiutarti adesso arriva” . Dello zio nessuna traccia, che abbia voluto lanciare il messaggio sono la zia ma non sono sola?? Saluto e riprendo a sciare, su e giù, su e giù, con qualche intermezzo sino alle 13, poi decido che è l’ora di andare a mangiare. Ripongo sci e scarponi in macchina ed entro nel ristorante, la sala è affollata, tutta gente in abbigliamento da sci che non ho visto sulle piste e mi rendo conto di quante siano in realtà le persone che vanno a sciare al ristorante. La ragazza che mi aveva servito al bar mi viene incontro, mi sorride nuovamente e li accompagna al tavolo. Confabula con le sue colleghe e poi torna a prendere l’ordinazione, sì, devo avere fatto colpo. Sarà lei a servirmi per tutto il pranzo, passando più volte a chiedere se tutto va bene, se desidero altro. Il pranzo è terminato, bevo il caffè, pago il conto, saluto. Arrivederci, e il sorriso questa volta arriva agli occhi. A volte è difficile essere fedeli.
  • ps. dimenticavo la polente e capriolo era da favola  {#emotions_dlg.smile}

Questo è  accaduto sabato scorso, perchè lo posto ora vi chiederete? Semplice perché io domani e per qualche altro giorno sarò lassu, nei luoghi della foto. Forse non vi saranno bimbi da aiutare da quelle parti ma vi assicuro che io, mi divertirò lo stesso.

Ciusssssssssssssssssss

Ago 18, 2009 - racconti brevi    8 Comments

Storie di ordinaria calura

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Come deciso in precedenza, la giornata di oggi era da dedicata alla spesa, in frigorifero, alcune materie prime fra cui le indispensabili bibite, frutta e verdura più che scarseggiare cominciavano ad essere completamente assenti, ragione per cui occorreva provvedere, così dopo avere sistemato alcune cosette in casa decido di recarmi al supermercato. Non amo troppo muovermi fra ali di folla ed è per quello che solitamente mi reco a fare la spesa più o meno all’ora di pranzo, in quel momento l’affollamento è accettabile. Così, apparecchio fotografico al seguito, ho una mezza idea di scattare qualche foto in alto lago, su oltre il Mera verso il laghetto di Novate Mezzola, mi manca ancora quella zona, prendo l’auto e parto. La temperatura è quasi proibitiva, il termometro segna 35 gradi, ma il condizionatore fa il suo discreto lavoro, arrivo alla fine del lago, prendo una deviazione sulla sinistra che costeggiando il fiume Mera porta su sino a quasi il lago già citato. La mia intenzione è quelle di scattare alcune foto alla chiesetta di San Fedelino. Per la verità si tratta di un piccolo tempietto di epoca romanica e risalente al X secolo ed è molto particolare. Giunto sul luogo mi rendo conto che è impossibile trovare posto nel piccolo parcheggio e che inoltre, come da indicazioni, occorre percorrere a piedi un tratto in salita completamente allo scoperto. Venti minuti di camminata sotto il sole di mezzogiorno, non credo sia il caso e così decido di rimandare ad altra occasione la visita. Proseguo per alcuni minuti lungo la strada e poi trovato un parcheggio mi fermo e scendo a scattare qualche foto. Il panorama lo merita, sullo sfondo le montagne che circondano la val Chiavenna, ai lati del passo Spluga e del Maloia, sul fondo valle il laghetto parzialmente coperto di canne palustri, frequentato da cigni, folaghe e aironi e là sulle sponde il piccolo paese. Terminati gli scatti risalgo in macchina e mi dirigo all’ipermercato ormai poco distante. Dopo avere inghiottito una focaccia e bevuto una birra, munito di carrello mi addentro nel supermercato. Mi sono sbagliato, contrariamente a quanto accade normalmente in questo orario oggi il luogo risulta essere super affollato. Forse l’insolito fatto è dovuto all’avvenuto rientro di molti vacanzieri che necessitano come me di riportare a termini accettabili il contenuto delle propria dispensa, o anche al caldo eccessivo che spinge i vacanzieri a ritardare la discese al lago ad orari più freschi. Fatto sta che la gente è tanta, gli ingorghi frequenti e che io insofferente per natura, proceda fra le corsie smoccolando in silenzio. Ed è così che schivando sorpassando e smoccolando mentalmente mi ritrovo dietro a due teoremi di Pitagora, madre e figlia. Sì, il teorema, quello che dice la somma dei quadrati costruiti sui cateti è pari……… Le due misurano circa un metro e sessanta di altezza e quasi altrettanto di larghezza, va da se che la somma dei quadrati in questo caso dia quello della circonferenza. Le due camminano rapidamente, quasi quanto Virgilio nell’aggiornare la pagine dei forum, soffermandosi di frequente lungo la corsia ed impedendo agli altri di passare, è quindi normale che dietro si sia formata una piccola coda. Sono proprio dietro loro inframezzato ad altra gente quando sento la figlia rivolgersi alla madre chiedendo “Cosa ci serve ora?”. Sì lo so è da maleducati ascoltare le conversazioni altrui, ma sono proprio lì dietro e non posso farne a meno. Poi è proprio da cafoni dare dei suggerimenti non richiesti lo so, lo so, anche perché il più delle volte mi limito solo a pensarli, il più delle volte, non questa. Così senza nemmeno il tempo di realizzare quanto stia facendo sento la mia voce dire :”Suggerirei una liposuzione”. Silenzio, un paio di risatine soffocate nei paraggi. La reazione, forse a causa della velocità virgiliana tarda ad arrivare, così ho tutto il tempo per ricompormi. Quando si girano per cercare di in individuare il fautore del suggerimento ho sul viso un espressione indifferente e la mia attenzione è attratta da una confezione di birra Becks nello scaffale, giusto quello che cercavo. La prendo, la metto nel carrello, chiedo permesso e passo oltre. Sarà stata colpa del caldo. Ma chissà se in futuro non abbiano di che ringraziarmi.

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Ago 12, 2009 - racconti brevi    6 Comments

Il cane, il gatto e il gufo

 

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(l’opera d’arte è di aliice)

 

Da sempre il cane inseguiva il gatto, e da sempre il gatto s’involava per tetti lasciando il cane con un palmo di naso là sotto ad abbaiare al vento.
Il cane non ricordava più nemmeno quali fossero le ragioni che lo spingevano ad inseguire il gatto, faceva così da sempre, da quando riusciva a ricordare, vagamente nella sua memoria appariva l’immagine sfuocata di qualcuno che gli ricordava come i cani ed i gatti fossero nemici e lui si comportava di conseguenza anche se, gli capitava di pensare, non gli sarebbe spiaciuto fermarsi a parlare col gatto, a giocare, avrebbe potuto essere divertente, non aveva nessuno con cui poterlo fare. Ma poi scuoteva la testa ed allontanava quello che avrebbe potuto essere considerato dai suoi simili un cattivo pensiero e continuava a comportarsi da cane nei confronti del gatto. Così, come sempre, appena gli capitava di scorgere il gatto, iniziava prima a ringhiare, poi abbaiando furiosamente si lanciava all’inseguimento per alcuni isolati sino a che questo, agilmente non si arrampicava lungo muretti, finestre e poggioli sino ad arrivare sui tetti da dove rimaneva a guardarlo tranquillamente. Più volte il cane aveva pensato di cambiare la propria tattica, di acquattarsi ad un angolo dove il felino aveva l’abitudine di passare, attenderlo e poi balzargli addosso improvvisamente. Solo che erano due le ragioni per cui aveva deciso di non attuare quella tattica. La prima e che non aveva ben chiaro nella mente su cosa avrebbe fatto quando gli fosse capitato di prenderlo. La seconda e ben più importante è che, malgrado l’evidente differenza di mole, non era ben certo che sarebbe stato lui ad avere la meglio.
Il gatto, da parte sua, all’udire l’abbaiare del cane partiva di scatto e senza neppure voltarsi correva ad infrattarsi fra vicoli e giardini prima, per raggiungere i tetti da dove poi rimaneva ad osservare il cane che, naso all’insù sguardo deluso e un po’ frustrato, lo puntava ancora ringhiando per qualche tempo per poi allontanarsi per la strada da cui era venuto. Spesso si era chiesto quali fossero le ragioni per le quali lui dovesse fuggire di fronte all’aggressore. Anche lui vagamente ricordava che nel passato qualcuno gli aveva segnalato il cane come un nemico da temere, uno dal quale bisognava fuggire sempre e spesso se ne era chiesto le ragioni senza avere alcuna risposta. In diverse occasioni lo aveva osservato di nascosto da dietro un cespuglio o dai tetti, lo aveva visto riposare, scodinzolare, grattarsi. Non gli era sembrato così terribile, quante volte gli era venuta la tentazione di uscire dal nascondiglio corrergli accanto, passare la sua lingua su quel grosso muso umido, giocare con lui. Ma si era sempre trattenuto, qualche cosa di antico dentro gli diceva che forse non sarebbe stata una buona idea, e così, per rispettare l’insegnamento ricevuto continuava annoiato a fuggire ed a riparare sui tetti. Così ogni volta, ogni giorno da che la loro memoria portava un ricordo il cane inseguiva abbaiando ed il gatto s’involava per tetti.
Ma e il gufo? Il gufo se ne stava al centro del bosco, appollaiato sul ramo di un grande albero e, sonnecchiando nascosto fra le fronde, si faceva i cazzi suoi.

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Mag 8, 2009 - racconti brevi    5 Comments

“Organisanseeeeeeeeee”

dallo spagnolo, ovvero “Organizzatevi
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Il termine viene da me preso per l’occasione da una storiella, un po’… spinta, che tempo fa circolava nei paesi sud americani,ma questa volta non è dedicata al nostro anfitrione, anche se ci potrebbe stare e credo che nessuno avrebbe nulla da dire ma e invece dedicata alla nostra sanità nazionale ed in particolar modo all’ASL. L’accostamento nasce dal fatto che questa mattina sceso in paese e recatomi all’ambulatorio medico per la richiesta di una ricetta, mi sento rispondere dal nuovo medico presente che lui la ricetta non me la può fare e che prima devo recarmi negli uffici dell’ASL e fare la richiesta relativa al medico curante. Spiego gli antefatti. Da tempo il mio medico, quello assegnatomi intendo, a causa dell’età e della salute precaria,  non era quasi più presente ed in questi ultimi anni sono stati diversi i medici che si sono avvicendati nell’ambulatorio per sostituirlo, così questa mattina, dopo avere atteso per oltre un ora il mio turno, non ho provato alcuna sorpresa nel ritrovarmi di fronte un nuovo medico. Lo stupore invece mi ha assalito quando alla mia richiesta della solita ricetta mi sento rispondere dal medico che lui non può farmela non essendo il mio medico curante….. Dunque, mi trovo sempre nel medesimo ambulatorio, in quello dove mi reco da 5 anni a questa parte, dove ho incontrato in questi anni sei medici diversi, senza contare quello presente e io non sono più un paziente. Al mio stupore mi spiega che il medico al quale ero stato assegnato è definitivamente andato in pensione e che lui non è il solito sostituto ma bensì un nuovo medico che ha preso il posto del precedente, ma badate bene come medico nuovo succede che i pazienti del precedente non gli vengono assegnati, che questi si ritrovano senza un medico e che per ottenerlo devono nuovamente recarsi all’ASL e fare la scelta……..  Che strano mi chiedo allora che ci faccia lui nell’ambulatorio del mio medico se non è il mio medico, mi chiedo che senso abbia doversi recare all’ASL per sceglierne uno nuovo….  lui naturalmente visto che da noi i medici sono due e l’altro da sempre gestisce l’altra metà dei pazienti del luogo e non è in grado di acquisirne di nuovi…. mi chiedo se non fosse stato più semplice ed automatico trasferire direttemente i pazienti da un medico all’altro visto che non esistono alternative… ed inoltre senza nessun preventivo avviso, senza alcuna comunicazione, nermmeno un cartello nella sala d’attesa,  e sì,  tanto noi pazienti abbiamo tempo, in alcuni casi un eternità. Lui nota il mio sguardo stupito e mi dice… “Sa mi spiace ma è la prassi….” Già, la prassi burocratica, occorre giustificare il numero elevato di dipendenti che altrimenti in un qualsiasi altro settore sarebbero decisamente in esubero,  poi ci si chiede dove vadano a finire i soldi spesi per la sanità, nella cura dei pazienti??????????? Naaaaaaaaaaaaaa, nel mantenimento di un esercito di mangia pane a tradimento.
Scusate?
La storiella dite …?
A sì…
Dunque, Argentina, festa a sorpresa sapete, quelle in cui gli invitati si presentano mascherati, quelle in cui dopo abbondanti libagioni, tipo baccanali, ad una certa ora vengono spente le luci e………………… e nel buio fra musiche soffuse ansiti e sospiri si alza forte una voce “Organisanseeeeeeeee”…. un attimo di silenzio generale, poi tutto riprende come prima. Passano una decina di minuti e poi ancora nel buio la voce.. “Organisanseeeeeeeee” ancora un attimo di suspence, poi ansiti e sospiri tornano a coprire la musica. Ma………. “Organisanseeeeeeeeeeeee” la voce torna a squarciare il buio della sala e a questo punto l’anfitrione, scocciato accende le luci e volgendo lo sguardo nel nugolo di corpi aggrovigliati sparsi su pavimento  e divani chiede ” Ma insomma si può sapere cosa c’è?”. Dalla massa informe si solleva a metà  uno, viso sconvolto, mano tesa in avanti, dito indice puntato… ” E sì,  organisanse, visto che in una ora che soi a qui, ho sfiorato a malapena una teta, e lo ciapao quatro volte in del cul!”

Organisanseeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee

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ps. chiedo venia per la frase finale in uno spagnolo maccheronico ma era dolo per rendere l’idea

Feb 14, 2009 - racconti brevi    5 Comments

Les amoureux de Peynet , retroscena

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(revival)

 

Li vedi timidi e impacciati, sulla panchina del parco, si tengono per mano, si guardano negli occhi, si dicono ti amo senza parole, con tutto il loro essere.Si sono conosciuti per caso un giorno, come tanti, come tutti, si sono guardati negli occhi e si sono sorrisi, all’unisono. Poi hanno cominciato a frequentarsi a parlare delle proprie esperienze, della propria visione della vita, dei propri desideri, dei propri sogni. Riscontrando che i desideri e i sogni erano gli stessi, le aspettative della vita comuni, così d’incanto l’amore era sbocciato reciproco nei loro cuori.

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Valentina

Di anni……….., carina, bionda, bruna o rossa. Impiegata, segretaria o commessa, gentile ed educata sorridente ed allegra, intelligente e colta. E’ contenta del suo lavoro, ha uno stipendio che le consente di vivere senza sacrifici, che le permette di avere e mantenere l’auto, di fare vacanze due volte l’anno e numerosi fine settimana, di abbigliarsi seguendo la moda che le aggrada, l’ultimo modello di telefonino, cene fuori, pub, discoteca. Vive con i suoi e la madre ancora l’accudisce, lava, stira, cucina, le prepara il letto, e l’adora.

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Valentino

Di anni……… tipo interessante, bruno biondo o rosso. Ragioniere geometra, bancario, un buon lavoro retribuito. Anche lui con il proprio stipendio si gestisce bene, auto, sportiva o suv, sport, palestra, vacanze, fine settimana, abbigliamento griffato, ristoranti, pub, stadio, discoteche. Naturalmente anche lui vive con i suoi, naturalmente anche lui ha una madre che lo adora e che pertanto lo serve abitualmente di tutto punto.

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Si amano, sono insieme da tempo, hanno trascorso numerosi fine settimana assieme, ed anche alcune vacanze, così, con tutto l’entusiasmo degli anni e dell’amore che li unisce decidono di formare una famiglia , sposarsi, rito religioso o civile, a seconda.
La ricerca della casa, i mobili, la lista nozze, l’abito della sposa, il tempo vola ed in un batter d’occhio si giunge al giorno del matrimonio. L’emozione all’altare (o in comune) nel momento del fatidico si, il contegno impettito ed orgoglioso dei padri, il pianto delle madri, l’immancabile casino di parenti ed amici con il lancio del riso all’uscita e via di corsa lasciando tutti alle spalle verso il coronamento del sogno,. Il viaggio di nozze, la luna di miele.
Il rientro, le prime entusiastiche spese al supermercato, i meno entusiastici risultati ai fornelli, non fa niente si esce a mangiare una pizza, si va fuori al ristorante, si………….riprova a cucinare sempre con i medesimi orripilanti risultati………..poi c’è il letto da fare, i pavimenti da pulire, i mobili da spolverare, i panni da lavare, da stirare……………..
Il mutuo da pagare, le tasse, la luce, il gas, l’ ici, le spese condominiali, la nettezza urbana, il bollo delle auto, le assicurazioni, la bolletta del telefono e dei telefonini………………….
Ed ha inizio la routine, hanno inizio le discussioni su cosa e chi debba fare, a cosa si debba rinunciare, ma soprattutto, chi debba rinunciare a qualche cosa.
Improvvisamente lei non è più così dolce, simpatica e comprensiva……………..
Improvvisamente lui non è più così brillante, romantico e affascinante……………..
Improvvisamente lei è petulante, noiosa, egoista…………….
Improvvisamente lui è megalomane, egocentrico, mammone…………..

Improvvisamente il bulletto del distributore di benzina, quello che non ti ha mai guardata negli occhi ma solo alla scollatura della camicetta o sotto l’orlo della gonna, quello che cercavi di evitare quando passavi a fare il pieno dell’auto, improvvisamente non è più coatto, ignorante, volgare, improvvisamente è simpatico, divertente…………

Improvvisamente, la figlia della portinaia, la bionda con gli occhi slavati e l’enorme seno da fattrice, che ti curava ogni qualvolta scendevi le scale, cercando di instaurare una conversazione e che ti costringeva tutte le volte a fermarti all’angolo dell’ultima scala ad aspettare l’attimo un cui si allontanava, od ad una uscita di corsa con un veloce cenno della mano ad indicare che andavi di fretta, improvvisamente non ti appare più oca, sciatta, insignificante, improvvisamente è diventata interessante, stuzzicante, appetibile………………

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Improvvisamente la panchina è rimasta deserta e si sono persi Les Amoureux de Peynet
                                                                                                                                  refusi

Feb 10, 2009 - racconti brevi    5 Comments

Breve resoconto di una settimana bianca………………

ma così bianca che piu bianco non si può, sembra quasi la reclame di un detersivo.

La partenza avviene sabato mattina, qui sul lago, il cielo è azzurro, limpido, di buon auspicio si direbbe, ma ecco che giunti a Lecco già ci si ritrova sotto ad un cielo grigio bitume e poco oltre, presa la provinciale per Bergamo, dentro la nebbia. Si continua così per tutta l’autostrada sino a poco oltre Trento, fra grigiumi, pioggerelline e leggere nebbie, poi all’improvviso il cielo inizia piano piano a schiarire appaiono tracce di azzurro fra nubi sempre più bianche e giunti poi a La Villa, in Val Badia il cielo si presenta di un blu intenso quasi esagerato. Sembra un augurio anche se le previsioni vertono in altre direzioni. Provvediamo a fare il settimanale per evitare le code del sabato mattina e poi andiamo a riposare.

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Val Badia – La Villa – Sabato ore 16.00
Domenica mattina sveglia ore 8.00, ci si affaccia alla finestra e………… grigio, fuori è tutto grigio e bianco. Grigio il cielo grigia l’aria oltre i primi contrafforti dei pini, un fitto nevischio scivola veloce nell’aria, come da previsioni.
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Val BadiaLa Villa – Domenica ore 8.30 – La mia auto
Terminata la colazione e liberata l’auto dalla neve si parte per il parcheggio auto sotto la cabinovia di San Cassiano, sembra che non ci sia molta gente, ma è solo un sembra momentaneo, il tempo di scendere gli sci e di calzare gli scarponi che parccheggio si è riempito ed una selva di persone si accinge alle medesime operazioni. Si sale con la cabinovia e giunti in cima al Piz Sorega ci si affaccia sulle piste. E’ ancora presto e le piste risultano essere quasi intonse, battute la sera prima e spolverate da una decina di centimetri di neve, è veramente uno spettacolo sciarci, sopra gli sci scivolano via dolcemente senza vibrazioni sostenuti dalla veve fresca che scricchiola dolcemente sotto le lamine. C’è solo un inconveniente, non ci ci vede, il fondo delle piste appare piatto ed uniforme, difficile individuare le cunette ed i cambi di pendenza, si viaggia a spanne, alcune piste risultano addirittura impraticabili a causa della nebbia, che spinta dal vento a tratti se ne impossessa rendendo invisibile il tracciato, celando ogni eventuale ostacolo presente sulla pista, il più delle volte altri sciatori in difficoltà. Sembra strano, ma nelle giornate di brutto tempo la gente sulle piste sembra essere più numerosa, forse perché tutti si accalcano sulle piste interne, le meno impervie e meno esposte alle folate di vento, di nevischio e di nebbia e quindi comunque più praticabili. Trascorriamo così la giornata fra una discesa, un caffè, un piatto di pasta fumante, ed un bombardino pomeridiano, poi verso le 15.30 decidiamo di scendere a valle e rientrare nella speranza che la giornata successiva possa essere quanto meno migliore. Non ho portato con me la macchina fotografica e non me ne sono pentito,  la giornata di fotografico non aveva assolutamente nulla.
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Val Badia – La Villa – Lunedì ore 9.00
Giornata fotocopia delle precedente, anzi, i fiocchi di neve scendono se possibile più fitti e sicuramente più grandi, anche oggi rinuncerò a scattare delle foto sarebbe inutile e avrei solo il fastidio della machina fotografica in una giornata che si presenta difficile. Le strade, malgrado il continuo passaggio dei mezzi risultano abbondantemente innevate, il salire al parcheggio di San Cassiano potrebbe voler significare montare le catene, quindi decidiamo di fermarci sotto e di salire dalla cabinovia della Gran Risa, anche se ciò comporterà dover fare una certa fila. Per il resto la giornata diventa una fotocopia della prima, a parte la fatica a causa della neve frasca che si è accumulata sulle piste e del piatto del rocciatore, uova, patate saltate e speck, che hanno sostituito la pasta.
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Martedi mattina, ci si alza un po’ più tardi, ci si affaccia alla finestra per verificare le condizioni del tempo, non neviva più, anche se, da quanto si può vedere, deve averlo fatto per tutta la notte. Decidiamo pertanto di fermarci alla prima partenza, quella più bassa di Pedraces, impianti e percorso che in passato abbiamo sempre evitato, a causa del fatto che poi si sarebbe dovuto scarpinare, ovvero percorrere un tratto a piedi con gli scarponi, per collegarsi agli altri impianti e che invece ora, con l’aggiunta di una nuova seggiovia che supera il paese e la strada risultano essere perfettamente collegati.
Ha smesso di nevicare, ma la giornata rirulterà poi essere la più faticosa dell’intera settimana. La visibilità a causa della nebbia e di una luminosità diffusa, risulta essere pressoche nulla, le piste,  stranamente da queste parti, non sembrano neppure battute, cumuli di neve sorgono improvvisi sotto agli sci e il contatto mento ginocchia in tali situazioni risulta essere all’ordine del giorno. Ma oggi ho la macchina fotografica e qualche scatto di certo mi riuscirà di farlo.
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Val Badia – Martedì ore 10.00 – Piste sopra La Villa
La giornata, per la gambe, risulterà poi essere la più faticosa e la sera il rientro verso il parcheggio dell’auto, fra cumili di neve, sobbalzi e moccoli, sarà una vera impresa, unica nota positiva, fre le nubi si iniziano a scorgere tracce di azzurro.
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Ci si sveglia il mattino del mercoledì con la luce che filtra fra le tende alle finestre, ci affacciamo al balcone e sorpresa, il cielo appare azzurro e privo di qualsiasi traccia di nubi, credo sarà una bellissima giornata, una giornata che certamente compenserà l’intera settimana. Ci precipitiamo a fare colazione, poi via di corse verso San Cassiano, ed alle 9.00 siamo già li sulle piste con i primi mattinieri. Le piste oggi sono perfette, tirate a lucido come come superfici di bigliardo, secndere con gli sci è come volare, oggi sì, oggi si attaverserà tutta la valle salendo sino ad Arabba, per poi tornare giù di nuovo verso Corvara e dirigerci poi oltre colfosco verso la Val Gardena, attraversando scenari che definire grandiosi è poco, luoghi già visti e vissuti da molti anni ma che sempre finiscono per stupire. 
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Val Badia – Colfosco – Mercoledì ore 11.30 sulle piste della Forcella

Continuiamo così il saliscendi sulle piste per tutta la giornata, con un breve intervallo per il pranzo presso la baita Jimmy, dove un piatto di tagliatelle al ragù di selvaggina riconciliano anche lo stomaco allo spirito della giornata. Verso le quattro del pomeriggio percorriamo l’ultima pista che ci conduce al parcheggio, stanchi, distrutti ma felici, con la segreta speranza che anche all’indomani si possa ripetere il miracolo.
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Portroppo no, il giovedì mattina ci accoglie il solito cielo grigio ed un sottile nevischio vortica nell’aria spinto da folate di vento, pazienza pensiamo, la nostra giornata di gloria l’abbiamo avuta, non si può essere sempre fortunati. Saliamo in auto e ci dirigiamo comunque verso San Cassiano, macchina fotografica al seguito, forse per una strana ispirazione. Man mano che saliamo ci rendiamo conto che il nevischio si dirada, che le nubi si fanno meno fitte, che nel cielo si aprono degli squarci di azzurro, che tendono ad allargarsi sempre di più e giunti in cima con la cabinovia ancora una volta scopriamo un cialo blu intenso attraversato da veleggainti buianche nubi, anche oggi sarà una giornata stupenda. Ripetiamo il percorso della giornata precedente ma in senso inverso, fermandoci presso un altra baita, la Utia Punta Trieste per la solita carbonara di rito.
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Val Badia – Corvara – Giovedì ore 12.30 -Utia Punta Trieste
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Continuiamo poi sciare sino alla chiusura degli impianti giusto, giusto per smaltire la carbonara, poi quaasi a tentoni dalla stanchezza ci dirigiamo all’auto per rientrare.
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Venerdi mattina il miracolo non si ripete, affacciandoci alle vetrate del balcone ci rendiamo conto che la giornata non potrebbe essere peggiore per andare a sciare. Il cielo e grigio e basso, la neve scende fitta a larghi fiocchi e le strade pur con il continuo passaggio dei mezzi sono abbondantemente innevate e salire su richiederebbe l’utilizzo delle catene. Sciare poi richiederebbe un notevole impegno e noi, stanchi dalle precedenti giornate,  non ce la sentiamo di rischiare.
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Val Badia – La Villa – Venerdì ore 90.30
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Decidiamo così di comune accordo che la nostra settimana bianca sugli sci si è conclusa e che trascorreremo il nostro ultimo giorno a Brunico, girovagando per negozi e facendo visita ad un delizioso ristorantino che da mesi attende il nostro ritorno per delle fragranti frittelle al formaggio e una deliziosa sella di capriolo al forno con patatine fritte, spetzli, verdure grigliate e salsa di mirtillo rosso. La settimana è finita, domani si torna a casa. 

Gen 1, 2009 - racconti brevi    14 Comments

Il primo ospite dell’anno

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Si annuncia da solo, poco dopo le tredici, con un violento botto contro i vetri del terrazzo. Guardo prima fuori senza vedere nulla e poi mia moglie che col dito indica fuori, “La guarda là!”,  “Ma la dove?” rispondo io non riuscendo a scorgere nulla. “Nella ciotola dei fiori, – ribadisce lei – c’è caduto dentro”. Osservo bene la ciotola di anemoni e rose gialle che la sera prima capeggiava a centro tavola e che ora è posta fuori sul terrazzo per conservarsi meglio e scorgo a malapena visibili fra i fiori, alcune penne che sporgono verso l’esterno. Apro la portafinestra ed esco, scosto i fiori e scorgo un minuscolo batuffolino di pelo, marroncino e giallo capottato sul fondo della ciotola. Delicatamente lo raccolgo nel cavo di una mano e rientro in casa. Lui, il regolo, scoprirò poi dopo su internet la sua razza di appartenenza, rimale li accovacciato nel palmo della mano, intontito, gli occhi socchiusi. Lo accarezzo dolcemente con un dito, lui non si sottrae, forse ancora troppo confuso per avere paura o forse chiedendosi cosa sia quello strano albero. Piano, piano si raddrizza, si regge sulle zampette aggrappandosi al dito indice, lo accarezzo ancora un attimo, poi pensando che sia la cosa migliore da fare esco sul terrazzo e vado a collocarlo su di un ramo del limone, sembra quasi restio a salire ma poi lo fa ed io rientro in soggiorno al caldo, pensando che poi prenderà il volo. Passano diversi minuti, sono al computer e sto leggendo alcune cose quando mia moglie viene ad avvisarmi che è ancora là, non se ne è andato. Esco nuovamente, guardo sotto sul ramo del limone e lo vedo accovacciato in un angolo quasi intristito dal fatto di essere stato abbandonato lì fuori tutto solo. Avvicino il dito al ramo e senza alcuna forzatura lui ci saltella tranquillamente sopra aggrappandosi, così con l’uccellino ancorato saldamente sul dito rientro al caldo. Mi siedo sulla poltrona , rimanendo lì col dito teso ad osservare quel batuffolo di pelo che piano piano comincia a riprendere vita. Muove il capo, agita leggermente le ali, poi saltella sino al polso e da lì con brevi saltelli e svolazzi sale lungo il braccio sino alla spalla, poi finisce sulla testa, ci rimane alcuni istanti sino a spiccare un breve volo sino alla finestra. Non ci va a sbattere però questa volta, atterra prima e si posa sull’intelaiatura dei vetri guardando verso l’esterno. Credo voglia farmi capire che ora sì, ora è pronto per andare. Mi avvicino e nuovamente lui saltella sul dito che gli porgo aggrappandosi, esco sul terrazzo, sollevo la mano e lui prende il volo dirigendosi verso quel boschetto di fronte a casa, dal quale probabilmente era giunto. Sì credo che sarà un buon anno

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altre foto

http://negliocchi.fotoblog.it/archive/2009/01/01/il-primo-ospite-dell-anno5.html

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