parole e immagini

Il giocattolo e il gioco

Era giunto all’improvviso, nove mesi dopo una seduta terapeutica come tante altre, fatta solo per rilassarsi un poco, per trascorrere una serata uggiosa, per giustificare una decisione presa tanto tempo prima. Una scelta molte volte rimpianta da entrambi, ma le convenzioni sociali del luogo e dell’epoca non  lasciavano alternative, occorreva salvare le apparenze, mostrare una facciata rispettabile. Da qualche anno per motivi diversi, avevano deciso entrambi  di dedicarsi alla ricerca di un figlio, lui per recuperare un poco della sua perduta libertà, lasciando lei alle prese col bambino e per assicurarsi un erede, lei per avere una ragione in più che gli garantisse il futuro e la vecchiaia. Così  in un’ancora calda serata di fine estate dell’anno 19…. era giunto lui, accolto quasi con indifferenza ed affidato da subito alle cure di una balia. Gli era stato assegnato un nome importante, un nome che tenesse fede alle tradizioni ed all’albero genealogico della famiglia. Era cresciuto così, fra le attenzioni annoiate di una madre e saltuarie presenze del padre sempre assente per ragioni di…. lavoro, nelle costanti e continue cure e attenzioni della balia e della servitù. Coccolato, viziato e ignorato. Quella che era la sua cameretta era stracolma di giocattoli, di tutti tipi, dal cavallo a dondolo al triciclo, la prima biciclettina con le rotelle, macchinine, un trenino elettrico. Erano tutti là accatastati, abbandonati dopo un primo facile entusiasmo e poi dimenticati. Fra questi un bellissimo pallone da calcio, di quelli ufficiali, quelli che si utilizzavano per le gare, con il marchio stampato a fuoco e con tutte le sezioni esagonali di cuoio sapientemente cucite a mano. Anche in questo caso il suo entusiasmo era durato il tempo di una sedia rovesciata e di un prezioso vaso frantumato a terra, senza che un rimprovero gli fosse mai stato fatto. Fu così che un giorno, mentre sul terrazzo di casa annoiato come sempre prendeva visione del giocattolo appena regalatogli, udì provenire da sotto un allegro vociare, grida e risate di bambini. Si affacciò al parapetto e scorse, nel prato che fronteggiava casa sua, una torma di bambini che nella foga del gioco rincorreva un pallone. La sua attenzione fu attratta dal pallone, era vecchio, di quelli di plastica, rimbalzava male ed ad ogni calcio che riceveva si ingobbiva sul lato. Sì ricordò allora del pallone abbandonato là assieme agli altri giochi nella sua cameretta, il suo bel pallone di cuoio ancora nuovo, il mio è più bello pensò.  Preso dal ricordo e dall’entusiasmo si alzò in piedi corse in cameretta e si impossessò del pallone, poi stringendolo fra le mani corse giù per le scale e si diresse verso il prato dove gli altri bambini stavano giocando. Giunse sul prato trafelato, ansante, con un sorriso di orgoglio sulle labbra, il pallone stretto fra le mani proteso verso gli altri bambini, guardate pensava guardate il mio pallone che bello. I bambini vedendolo giungere di corsa, si fermarono e vedendo il pallone nuovo che stringeva fra le mani sorrisero felici. “Ei un pallone nuovo – esclamarono tutti quasi all’unisono – che bello, dai vieni a giocare, tira il pallone dai, vieni, vieni” Le braccia rimanevano tese, il pallone restava li stretto. Come tira il pallone? Ma il pallone è mio non lo vedete come è bello? Guardate è nuovo,  il vostro è quello brutto, tutto rotto, questo é il mio, guardate che bello, guardate. Questo era quanto passava per la sua testa e che le parole non riuscivano ad esprimere. “Allora lo tiri o no? Dai tira, vieni che giochiamo, vieni”. Ma il pallone rimaneva lì incollato fra le mani. No che non lo tiro, pensava sempre con quel sorriso d’orgoglio stampato sul viso,  è mio, è più bello, non ve lo do, me lo tengo. Gli altri bambini si guardarono un attimo, poi alzando le braccia in un gesto eloquente, girarono le spalle ripresero a correre ed a tirare calci a quella palla vecchia e rattoppata. Lui rimase lì, col pallone stretto nelle mani tese, con quel sorriso che piano piano stava scomparendo dalla  faccia. Ma perché, si chiedeva, perché se ne erano andati? Il suo pallone era più bello ed era ancora lì.

Passarono gli anni e lui crebbe, crebbe viziato e solo. Crebbe e quel nome importante che gli era stato assegnato in quel giorno lontano del suo battesimo, importante non lo divenne mai, perché quel nome, Leopoldo, si ridusse in un più banale Leopoldino, Poldino. Sì perché come quel giorno in quel prato in tutta la sua vita non gli riuscì mai di capire una cosa. Non gli riuscì di capire che l’importante era il gioco, non il giocattolo. 

 

                                                                                                                                            refusi

 

 

Il giocattolo e il giocoultima modifica: 2008-04-03T00:00:00+02:00da
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