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Giu 18, 2008 - racconti brevi    10 Comments

Le copieur – (il copiatore) aneddoti da una vita

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Bello, sorridente, gentile, amabile, trascorreva la sua vita fra Parigi e il resto del mondo, lui M…. B….. titolare dell’omonimo magazzino e negozio posto in quel di rue de Clery era considerato a quei tempi, un genio nel suo settore. Nella vetrina del suo negozio facevano bella mostra di sè broccati, sete, tessuti fruscianti e variopinti, stampe sgargianti o delicate, quanto di meglio, si diceva, si potesse trovare. Dentro, una folla di dame, couturier di grido, sarti e sartine in certa di gloria alla ricerca di quel tessuto che consentisse loro di creare quel modello unico che li avrebbe consolidati nella gloria o portati a nuova fama. Lui cortese e gentile prestava attenzione agli uni e agli altri senza distinzione, racontando la storia che aveva portato alla nascita di un tal tessuto e quello che a suo parere sarebbe stato il suo giusto impiego. Ricordo una delle ultime volte che lo incontrai fu a Francoforte in occasione dell’edizione invernale della fiera tessile. Quando io ed i mie colleghi giunti in loco e recatici all’albergo, il Franckfurterhoff, ci rendemmo conto che la segretaria aveva sbagliato le date della prenotazione posticipandola di un giorno e che noi per quella notte non avevamo di che dormire. Praticamente impossibile trovare delle camere altrove nel raggio di una cinquantina di chilometri, le prenotazioni in quelle occasioni venivano fatte immediatamente al termine della manifestazione per la successiva. Solo con un gioco di prestigio, l’aiuto del direttore, che conoscevamo da anni ed una lauta mancia, riuscimmo ad avere le camere sostenendo che l’errore fosse della reception. Fu così che la sera sul tardi, rientrando in Hotel dopo la cena lo incontrammo sul marciapiede di fronte con la valigia in mano. ” Eila M…. ça va?” – “Pas de tous” rispose con aria afflitta, ” Mais qu’est qui se pass?” Chiedemmo. “J’ai n”ai pas la chambre – rispose – je sui etonnè, j’etait certaine d’avoir reservè” concluse poi con aria più stupita e rassegnata che arrabbiata. Lo lasciammo là, sul marciapiede augurandogli di riuscire a trovare una camera per la notte e ce ne andammo con la certezza di essere stati noi la causa seppur involontaria di quel disguido, indecisi se rammaricarcene o se scoppiare in una fragorosa risata. Il nostro senso di colpa venne attenuato il giorno dopo quando venimmo a sapere che aveva trovato una camera presso l’hotel dell’aeroporto. Ho sempre pensato di doverti chiedere scusa M…. ma non ho più avuto occasione di farlo, sono certo che tu dopo avermi guardato in cagnesco per un attimo ed avere sussurrato un ..”Je n’achete plus chez toi” saresti scoppiato in una fragorosa risata. Ricordo quando nella Hall dell’albergo in occasione di una precedente manifestazione ad un tizio che non ti conosceva che vedendoti attorniato da una folla che pendeva dalle tue labbra ai tuoi racconti e che ti chiese cosa facessi nella vita, guardandolo sorridendo rispondesti “Le copieur”. Si M….. tu hai passato la vita a copiare la natura nelle sue forme e nei suoi colori e così, come eri sempre solito fare, onestamente glie ne hai reso merito

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Apr 3, 2008 - racconti brevi    19 Comments

Il giocattolo e il gioco

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Era giunto all’improvviso, nove mesi dopo una seduta terapeutica come tante altre, fatta solo per rilassarsi un poco, per trascorrere una serata uggiosa, per giustificare una decisione presa tanto tempo prima. Una scelta molte volte rimpianta da entrambi, ma le convenzioni sociali del luogo e dell’epoca non  lasciavano alternative, occorreva salvare le apparenze, mostrare una facciata rispettabile. Da qualche anno per motivi diversi, avevano deciso entrambi  di dedicarsi alla ricerca di un figlio, lui per recuperare un poco della sua perduta libertà, lasciando lei alle prese col bambino e per assicurarsi un erede, lei per avere una ragione in più che gli garantisse il futuro e la vecchiaia. Così  in un’ancora calda serata di fine estate dell’anno 19…. era giunto lui, accolto quasi con indifferenza ed affidato da subito alle cure di una balia. Gli era stato assegnato un nome importante, un nome che tenesse fede alle tradizioni ed all’albero genealogico della famiglia. Era cresciuto così, fra le attenzioni annoiate di una madre e saltuarie presenze del padre sempre assente per ragioni di…. lavoro, nelle costanti e continue cure e attenzioni della balia e della servitù. Coccolato, viziato e ignorato. Quella che era la sua cameretta era stracolma di giocattoli, di tutti tipi, dal cavallo a dondolo al triciclo, la prima biciclettina con le rotelle, macchinine, un trenino elettrico. Erano tutti là accatastati, abbandonati dopo un primo facile entusiasmo e poi dimenticati. Fra questi un bellissimo pallone da calcio, di quelli ufficiali, quelli che si utilizzavano per le gare, con il marchio stampato a fuoco e con tutte le sezioni esagonali di cuoio sapientemente cucite a mano. Anche in questo caso il suo entusiasmo era durato il tempo di una sedia rovesciata e di un prezioso vaso frantumato a terra, senza che un rimprovero gli fosse mai stato fatto. Fu così che un giorno, mentre sul terrazzo di casa annoiato come sempre prendeva visione del giocattolo appena regalatogli, udì provenire da sotto un allegro vociare, grida e risate di bambini. Si affacciò al parapetto e scorse, nel prato che fronteggiava casa sua, una torma di bambini che nella foga del gioco rincorreva un pallone. La sua attenzione fu attratta dal pallone, era vecchio, di quelli di plastica, rimbalzava male ed ad ogni calcio che riceveva si ingobbiva sul lato. Sì ricordò allora del pallone abbandonato là assieme agli altri giochi nella sua cameretta, il suo bel pallone di cuoio ancora nuovo, il mio è più bello pensò.  Preso dal ricordo e dall’entusiasmo si alzò in piedi corse in cameretta e si impossessò del pallone, poi stringendolo fra le mani corse giù per le scale e si diresse verso il prato dove gli altri bambini stavano giocando. Giunse sul prato trafelato, ansante, con un sorriso di orgoglio sulle labbra, il pallone stretto fra le mani proteso verso gli altri bambini, guardate pensava guardate il mio pallone che bello. I bambini vedendolo giungere di corsa, si fermarono e vedendo il pallone nuovo che stringeva fra le mani sorrisero felici. “Ei un pallone nuovo – esclamarono tutti quasi all’unisono – che bello, dai vieni a giocare, tira il pallone dai, vieni, vieni” Le braccia rimanevano tese, il pallone restava li stretto. Come tira il pallone? Ma il pallone è mio non lo vedete come è bello? Guardate è nuovo,  il vostro è quello brutto, tutto rotto, questo é il mio, guardate che bello, guardate. Questo era quanto passava per la sua testa e che le parole non riuscivano ad esprimere. “Allora lo tiri o no? Dai tira, vieni che giochiamo, vieni”. Ma il pallone rimaneva lì incollato fra le mani. No che non lo tiro, pensava sempre con quel sorriso d’orgoglio stampato sul viso,  è mio, è più bello, non ve lo do, me lo tengo. Gli altri bambini si guardarono un attimo, poi alzando le braccia in un gesto eloquente, girarono le spalle ripresero a correre ed a tirare calci a quella palla vecchia e rattoppata. Lui rimase lì, col pallone stretto nelle mani tese, con quel sorriso che piano piano stava scomparendo dalla  faccia. Ma perché, si chiedeva, perché se ne erano andati? Il suo pallone era più bello ed era ancora lì.

Passarono gli anni e lui crebbe, crebbe viziato e solo. Crebbe e quel nome importante che gli era stato assegnato in quel giorno lontano del suo battesimo, importante non lo divenne mai, perché quel nome, Leopoldo, si ridusse in un più banale Leopoldino, Poldino. Sì perché come quel giorno in quel prato in tutta la sua vita non gli riuscì mai di capire una cosa. Non gli riuscì di capire che l’importante era il gioco, non il giocattolo. 

 

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Mar 9, 2008 - racconti brevi    9 Comments

Settimana bianca – incontri ravvicinati di un certo tipo

Parte quinta

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Il risveglio è come tutte le altre mattine, la luce filtra fra le tende delle finestre, resto ancora disteso raggomitolato sotto il piumone, lasciando che il mio cervello riprenda lentamente coscienza e contatto con la realtà della nuova giornata, poi lentamente e voluttuosamente mi stiro e immediatamente, in un solo microsecondo, sono completamente sveglio e sveglio anche mia moglie facendola sobbalzare sopra il letto. Il moccolo che prorompe con forza dalle labbra mi riporta alla dolorosa realtà, sì dolorosa perché la parte sinistra del mio corpo sembra abbia subito l’impatto con un gatto delle nevi talmente è indolenzita e legata. Il pensiero risale alla giornata precedente e l’accaduto torna di prepotenza alla memoria. Il passaggio in farmacia, il rientro all’appartamento, la cena,  pizza da asporto che la moglie era gentilmente uscita a prendere, con un paio di birrette, per evitarmi ogni affaticamento.La lettura delle istruzioni del medico e della posologia dei farmaci,  “Una bustina e una compressa dopo i pasti”,  citavano entrambe, già, ma mica precisavano quanti pasti. Colazione, bustina e compressa. “Te la senti” mi chiede mia moglie osservandomi dubbiosa e preoccupata. Accenno a qualche movimento, il braccio non vuole saperne di alzarsi oltre la spalla, la cassa toracica mi procura delle fitte quando, dimentico, compio bruschi movimenti, (prego non mi venga la tosse), la gamba sinistra avanza con difficoltà, sopra un anca che sembra scricchiolare ad ogni movimento, i medicinali non hanno ancora fatto effetto. “ Si prova” rispondo guardando fuori dalla finestra, la giornata che si annuncia è stupenda, come dovrebbero essere le altre a seguire e non ho nessuna intenzione di trascorrerle sul divano a guardare la tv o a letto. “ Se proprio non mi sarà possibile rimarrò tranquillo sul terrazzo di qualche rifugio a prendere il sole e a scattare qualche foto e tu potrai sciare” commento. Piano e con calma ci si avvia verso gli impianti, di San Cassiano naturalmente, il Plan de Corones immagino dovrà scordarsi a lungo della mia persona.

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Giunti al parcheggio inizio a calzare gli scarponi, l’antidolorifico inizia a fare il suo effetto ed i movimenti si fanno più fluidi e meno contratti, lentamente cercando di non scivolare percorro la distanza che separa il parcheggio dalla pista, la spalla fa male se forzo, l’anca mi consente brevi passi senza procurarmi dolore, calzo gli sci e mi appresto ad affrontare il breve tratto di discesa che mi separa dalla partenza degli impianti, primo banco di prova. Con mia grande sorpresa mi rendo conto di riuscire a sciare senza troppe difficoltà, il movimento fatto sullo sci, certo senza forzare, non mi provoca dolore ed un barlume di speranza comincia ad affacciarsi nella mia mente, subito offuscato dai fatti successivi. Togliere gli sci, piegarsi per raccoglierli, camminare con sci e racchette per percorrere quella ventina di metri che mi separano dalla cabinovia mi costano uno sforzo non indifferente e i muscoli ammaccati si fanno sentire. All’arrivo  problema si presenta nuovamente, raccogliere gli sci, scendere,  portarsi a lato e calzarli, poi dover racchettare, sci ai piedi, ancora per una ventina di metri, cercando di non  scivolare di lato per evitare strappi e fitte, spingendomi in avanti solo con la racchetta destra. Non sono pochi i minuti che impiego per raggiungere il primo pendio che porta alle piste di discesa. Evito di proposito la pista di destra, è una rossa e almeno per il momento non vorrei  prendermi degli inutili rischi e mi dirigo a sinistra, qui inizia una pista blu di non più di trecento metri, a quest’ora ancora tranquilla e poco frequentata, guardo mia moglie che mi osserva preoccupata, le sorrido, strizzo l’occhio e con un cenno della mano le indico, andiamo. Quando giungo in basso sono felice, sì, difficile spiegare la gioia per avere percorso quei trecento metri sciando tranquillamente quasi senza problemi facendo attenzione solo a non forzare troppo nelle curve ed ad evitare il passaggio frontale sulle poche cunette presenti. In basso mi sono diretto automaticamente verso la seggiovia che porta al rifugio, ci sono giunto tranquillamente scivolando sugli sci rallentando leggermente e senza alcuna fatica, il fatto mi suggerirà il comportamento e le scelte che effettuerò nell’arco della giornata e di tutte le giornate successive. Aspetto mia moglie che arriva, mi guarda e subito vedendo la mia espressione sorride sollevata. In alto ci fermiamo a prendere un caffè lasciando gli sci a terra sulla neve proprio di fronte al rifugio, ci sediamo fuori sul terrazzo al sole e decidiamo quello che sarà il programma della giornata e delle giornate seguenti.

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Definiamo un paio di percorsi che snodandosi entrambi lungo una decina di piste siano tutti serviti da seggiovie facilmente  raggiungibili al termine delle discese, senza la necessità di racchettare e senza dover togliere gli sci ogni volta. Così trascorro le altre giornate della settimana bianca, sciando lungo percorsi predeterminati e non troppo impegnativi ma comunque felice di poterlo fare, fermandomi di frequente per bere un caffè o una birra, per mangiare sempre ottimamente nei vari rifugi posti lungo il percorso  e per scattare delle foto visto che le stupende giornate me lo consentono. Certo sono stato costretto a rinunciare ad una parte del mio programma, ho dovuto semplicemente scordarmi di quelle piste che mi ero programmato di affrontare negli ultimi giorni, nelle mie condizioni il rischio sarebbe stato troppo grande, ma  sono felice così, con l’ausilio de qualche bustina e compressa in più sono comunque riuscito a sciare tutti i giorni rimanenti della mia settimana bianca e francamente non ci speravo più dopo quanto accaduto. Anche le serate trascorrono piacevolmente seduti nei ristorantini della valle di fronte a piatti tradizionali o tipici locali ed a delle bottiglie di ottimo vino, particolare il sabato sera alla Stria di Colfosco,  tris di paste fresche, ai formaggi, ai funghi ed al ragù di capriolo, sella di cervo in salsa e verdure grigliate, per terminare con un semifreddo di mirtillo al miele, cosa vuoi di più dalla vita? Domenica mattina in auto mentre torniamo verso casa, ricordiamo quanto accaduto nei giorni trascorsi, ridendo, malgrado le fitte al torace ed al fatto di dover continuamente cercare una posizione diversa alla guida a causa della gamba, di quando accaduto il mercoledì al Plan ed  innalzando al titolo di Gatta di Marmo, l’inqualificabile colpevole dell’accaduto. Poi  come sempre ci capita durante il ritorno senza quasi accorgercene iniziamo a programmare quella che sarà, speriamo,  la settimana bianca del prossimo anno. Certo durante la stagione si andrà ancora a sciare nei comprensori sciistici poco distanti da nostro luogo di residenza, saranno anche giornate divertenti, ma non potranno essere assolutamente la medesima cosa. Ciao dolomiti, alla prossima.

                           

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Fine

 

Feb 1, 2008 - racconti brevi    16 Comments

Settimana bianca – Incontri ravvicinati di un certo tipo

parte prima

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(San Cassiano, sullo sfondo le Odle)
Chi come me ama la montagna e lo sci potrà capire quanta importanza possa avere la settimana bianca. Se poi la precedente, si mi riferisco a quella effettuata la stagione prima è stata eccezionale, già al rientro ci si pone immediatamente ad organizzare quella per l’anno successivo, se è stata mediocre a causa del tempo, ci si pensa comunque in un’ossessiva speranza di rivalsa ed è con questo spirito che ci si approssima alla nuova partenza, sempre più impazienti tanto più la fatidica data si avvicina. Finalmente il giorno è arrivato, non è stato necessario il suono della sveglia a scaraventarci fuori dal letto, già da tempo si osservava sott’occhi, nel dormiveglia fra le fessure delle tapparelle, lo schiarire del cielo, come bimbi in attesa dei doni la notte di Natale. Tutto è già predisposto, scarponi e sci caricati in macchina dal giorno prima, le valigie pronte accanto alla porta d’ingresso, gli abiti da indossare disposti accuratamente sulle sedie del soggiorno, ci si alterna velocemente in bagno e poi via si parte, si parte per quell’avventura ripetuta ad ogni inverno da anni, ma sempre nuova, sempre con la medesima carica di entusiasmo, si va a sciare. Si è scelto la domenica per partire, le autostrade sono trafficate, ma l’assenza del traffico pesante le rende più scorrevoli e la voglia di schiacciare sull’acceleratore è forte e solo il rischio di una salata contravvenzione mi trattengono dal superare quel fatidico limite. La montagna è là, con le sue piste innevate, con i suoi rifugi accoglienti, con i suoi panorami da favola, è la e ci aspetta, non dobbiamo farla aspettare. L’autostrada sembra non finire mai, ma è solo una sensazione dettata dalla nostra ansia, del nostro desiderio di giungere in quel luogo, ed ecco che puntualmente dopo alcune ore appare il cartello che indica il casello di uscita, abbandoniamo la noia dell’autostrada e ci addentriamo lungo le strade che percorrono le valli, attorno a noi le montagne si alzano a limitare il nostro sguardo tra il verde cupo dei pini ed il bianco delle nevi e su in alto il blu di un cielo terso, siamo quasi arrivati, ancora pochi chilometri e saremo a destinazione. Il cartello che indica Val Badia compare improvvisamente alla nostra destra, rallentiamo; fra pochi metri attraverseremo il ponte che scavalca il Rio Pusteria e ci inoltreremo per la valle, una serie di gallerie  accompagneranno  il nostro cammino su, sino al bivio che segnala la deviazione per San Vigilio.  Noi proseguiamo ancora su verso Picolin, dove ci fermiamo per prendere un caffè e per fare gli ski pass settimanali alla nuova stazione della cabinovia che collega la Val Badia con San Vigilio e con il comprensorio sciistico di Plan de Corones. La signorina che ci attende allo sportello è bionda e sorridente, alla mia richiesta dei due settimanali di cui uno senior (scontato), scuote il capo e scoppia in una risata, “Sempre voglia di scherzare voi” cantilena nel particolare italiano del luogo ed è solo a fatica e con l’ausilio della carta d’identità che riesco a convincerla che, anche se per una questione di mesi, non stavo affatto scherzando. Controlla, mi guarda, sorride ancora e mi chiede scusa, ma di che, forse non si rende conto di avermi fatto un complimento, o forse sono io che non mi rendo conto di come faccia solo parte del gioco. Torniamo in auto e ripartiamo, la strada si snoda in curve a tornanti e ci porta su, ecco il cartello che indica “ Alta Val Badia  – Begn Udus “ benvenuti,  superiamo La Valle, Pedraces e poco dopo iniziamo a scorgere i primi impianti di risalita, sono da poco passate le due, la gente affolla ancora le piste e la vediamo scendere verso le seggiovie. La voglia di bloccare la macchina, parcheggiare, indossare le tute, calzare gli scarponi ed infilare gli sci ai piedi è tanta, ma ci tratteniamo, abbiamo tutta le settimana davanti, domani diciamo, domani anche noi saremo lì. Così alle tre del pomeriggio giungiamo a La Villa, nostra destinazione, più avanti sulla destra la strada prosegue per Corvara, Colfosco e poi ancora su verso il passo Gardena che la collega con l’omonima valle. Mentre a sinistra la strada sale verso San Cassiano per inoltrarsi poi oltre il Passo di Valparola e il Falzarego sin giù verso Cortina. E’ presto per andare subito nell’appartamento pertanto decidiamo di andare a bere qualche cosa più avanti, dopo San Cassiano e di fermarci in quella piccola baita a lato delle piste da fondo sotto l’Armentarola, dove d’estate abitualmente facciamo tappa a bere un caffè prima di addentrarci nei boschi alla ricerca dei funghi e poi più tardi al rientro, distrutti dalla fatica, per riposarci davanti ad un piatto fumante di polenta formaggio e funghi o spezzatino di capriolo. Entriamo, il rifugio è affollatissimo, come le piste del resto, la neve è tanta e bella e la voglia di addentrarsi nei boschi sopra a degli sci da fondo o a delle racchette da neve in una giornata di sole coinvolge molta gente. La signora ci vede e ci riconosce. Ci viene incontro e ci saluta calorosamente, chiede come mai da quelle parti, conosce la nostra predilezione per lo sci alpino e lì nei pressi non ci sono impianti di risalita, solo per un saluto e bere qualche cosa rispondiamo. Si libera un tavolo e ci accomodiamo, una birra ed un the, poi dopo una mezz’ora, salutiamo la signora, ci diamo appuntamento per la prossima estate e risaliti in macchina ci dirigiamo verso il residence dove da alcuni anni affittiamo, sia l’estate che l’inverno, l’appartamento. La signora che lo gestisce ci accoglie calorosamente come sempre e  ci accompagna per sincerarsi che l’appartamento assegnatoci sia in ordine e di nostro gradimento. Sono passate le quattro ormai e siamo stanchi, pertanto scaricati i bagagli e fatta una doccia veloce ci buttiamo sul letto un paio d’ore per riposarci prima di uscire la sera a cena. Sono le sette quando ci alziamo, decidiamo per una pizza veloce e scendiamo alla pizzeria che dista solo pochi passi dall’albergo. Fanno una pizza favolosa, non so da cosa dipenda,  dall’acqua o forse dai prodotti, ma non ha nulla da invidiare a quella che fanno a Napoli ed è sicuramente di gran lunga superiore a quella che ultimamente si mangia dalle nostre parti. La pizzeria è affollata, ma riusciamo comunque a trovare un tavolo. Ordiniamo e per ingannare l’attesa ci facciamo portare delle bruschette, ci ricordiamo al momento dell’assaggio che anche da queste parti l’aglio viene utilizzato in modo robusto. La birra grande alla spina è finita prima che giunga la pizza, ne ordino un’altra, la mia intendo in quanto mia moglie si disseta semplicemente con dell’acqua minerale e con la seconda birra arriva anche la pizza, ottima come sempre. Rientriamo nell’appartamento che sono quasi le dieci, un rapido sguardo alla tv, come al solito nulla di interessante, decidiamo quindi di coricarci. Non so per quale ragione ma in montagna il sonno mi coglie sempre molto prima, credo sia dovuto in parte alla stanchezza ed in parte all’inconscio desiderio che giunga subito il mattino per essere là, pronto con gli sci sulle piste, e si sa che dormendo il tempo passa più in fretta. Si va a dormire, domani si comincia.
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Lug 18, 2007 - racconti brevi    6 Comments

Kivulimi

parte prima

Zanzibar, 24 agosto 2000

L’aeroporto internazionale di Zanzibar altro non è che un enorme hangar dall’aspetto molto poco rassicurante, dove al posto dei nastri trasportatori le valigie vengono sbattute su dei tavolacci messi uno in fila all’altro. Il personale addetto alla sicurezza non parla l’inglese, ma in compenso riesce a farsi comprendere benissimo mercanteggiando l’ispezione dei bagagli. Per una frazione di secondo penso di ribellarmi, ma sono troppo stanca e svuotata per delle insignificanti questioni di principio. Il volo è durato oltre sei ore e sono stanca. Seduta da sola, ho pianto per un bel pò, rimpiangendo questo colpo di testa, per inseguire un sogno di bambina. Alla fine la spunto per un dollaro americano.

Il tragitto in pullman è durato quasi quarantacinque minuti. Il caldo non è eccessivo, siamo a fine agosto e qui l’estate sta per finire, si approssima la stagione delle piogge. Il paesaggio è sempre uguale, rigogliosissima vegetazione tropicale ovunque.

Il bungalow è spartano. Fin troppo. Non era così nel depliant. Solo un letto coloniale di legno scuro circondato da una zanzariera  e pochissimi altri mobili. L’odore almeno è buono. Sandalo o chissà quale altra fragranza esotica. Mi accingo ad aprire la valigia, ma dopo dieci minuti buoni di vane ricerche mi rendo conto che non ho la chiave per aprirla e non riesco assolutamente a ricordare dove posso averla messa. Come se una fitta coltre di nebbia avesse avviluppato la mia mente.  Pensa un po’ se mi fossi rifiutata di pagare all’aeroporto, che misera figura avrei fatto! Il cellulare, penso. Meglio avvertire casa che sono giunta a destinazione sana e salva. Niente. Nonostante abbia contattato il servizio clienti prima della partenza per informarmi sulla procedura da seguire per le chiamate dalla Tanzania non c’è verso di comunicare con il mondo civile ed in più gli adattatori che mio padre mi ha dato per le prese di corrente sono tutt’altro che adatti… non posso telefonare e non posso ricaricare la batteria del telefono.  

Mi accascio sul letto con le lacrime che mi ballano negli occhi… proprio in quel momento squilla il telefono. Mio padre! Grazie a Dio almeno posso ricevere, anche se la batteria non reggerà mai una settimana intera. Lo avverto dei disagi con il telefono e gli dico che sto bene e sono contenta. Meglio tralasciare il particolare della valigia.

Esco e mi reco alla reception chiedo all’addetto se può mandarmi qualcuno con una tenaglia per rompere il lucchetto e nel frattempo scopro che contrariamente a quanto assicuratomi dall’agenzia nel villaggio non c’è ufficio cambi. Nell’isola accettano solo dollari, delle lire italiane neppure a parlarne e l’ufficio cambi più vicino è comunque troppo lontano… a parte il fatto che pare da queste parti prendano delle commissioni che farebbero impallidire anche il più incallito degli strozzini.

Di bene in meglio, mi trovo a seimila km da casa, con appena duecento dollari in tasca ed una lunghissima settimana davanti a me.

Torno in camera in attesa che vengano a scassinarmi la valigia, affondo le mani nella tasca e trovo le stramaledettissime chiavi… devo averci guardato almeno venti volte! Non mi sono ancora ripresa che sento bussare alla porta e mi trovo davanti McGyver con una tenaglia che sarebbe più indicata per tranciare l’ormeggio di una nave da crociera. Un po’ imbarazzata gli dico che ho già risolto e lui mi guarda come se fossi una turista sprovveduta e tonta. Ed è proprio così che mi sento, ma preferisco non pensarci e dare la colpa di tutto alla profilassi antimalarica. Pensare che un mese fa sono finita in ospedale per la reazione allergica al vaccino contro la febbre gialla e quella pazza invasata dell’ufficio sanitario mi aveva suggerito anche di prendere la pillola anticoncezionale nel caso in cui fossi stata rapita e violentata da qualche indigeno… al ritorno da questa vacanza avrei dovuto ricoverami in una clinica per tossicodipendenti… o per malattie mentali…

Mi sistemo alla bene e meglio. Sono pentita, ma ormai non è più possibile tornare indietro, tanto vale cercare di affrontare la cosa nel modo migliore possibile. Con tutto questo trambusto ho scordato il motivo per cui sono venuta qui. La casa delle Ombre, Kiwulimi.

Continua……
                                                            penny.blue