Tempo fa, tanto tempo fa, avevo scritto una poesia se così si può chiamare, non mi sembrava male, ma poi rileggendola mi ero reso conto che poteva avere qualche significato solo conoscendone l’antefatto, così avevo pensato di narrare anche quello. Cosa è successo dopo……… beh, questa è un’altra storia e non è dato di saperlo.
Il sogno e i canguri
Nella stanza
prima tranquilla,
ora qualcosa è cambiato.
Il lampadario annoiato,
stanco
di stare appeso al soffitto
ondeggiando
occhieggia in altre stanze
alla ricerca
di un riflesso ramato.
L’armadio geme e scricchiola
nel tentativo
di fuggire dalla stanza
ad inseguire un ricordo.
Lo specchio
si corruga e s’affanna
cercando
di creare un immagine.
Le silenziose pareti
trattengono
gelose nei propri angoli,
l’eco di una risata.
Canguri smarriti
caduti da un sogno
saltellano impauriti,
alla ricerca di nuovi alberi
e del padrone del sogno.
La giacca di un pigiama
tenacemente conserva
vago un profumo
e un po’ di calore
nel ricordo di un corpo.
Un bianco letto,
ora troppo grande e vuoto
ed un cuscino
privato del fuoco di un capo
invocano nuovamente
la sua presenza.
Notai per la prima volta la loro presenza rientrando in casa quella mattina, con gli occhi che si rifiutavano di restare aperti a causa del sonno. Lo vidi saltellare per la camera senza provocare alcun suono, irreale fantastico, un canguro rosso rame con profondi, malinconici occhi scuri.
Incubo, sogno od allucinazione? Sbattei più volte le palpebre cercando di scacciare quella imbarazzante visione, inutile, il canguro era sempre lì. Mi buttai sul letto più sorpreso che allarmato, gli occhi arrossati, il cervello appesantito dal fumo e da qualche bicchiere di vino di troppo e nonostante non riuscissi a scacciare l’immagine di quel folletto saltellante, né tanto meno a capire la ragione della sua presenza caddi in un sonno profondo, privo di sogni.
Riaprii gli occhi alle prime ore del pomeriggio, scrutai fuori dai vetri cercando di individuare, in un cielo completamente grigio, l’impossibile raggio di sole che colorava di rosso un angolo della stanza, poi lo vidi e ricordai. Era ancora lì, col suo fulvo mantello osservandomi con quei due grandi e profondi occhi. Due? No, quattro, sei occhi. Dal marsupio sul ventre erano spuntati due piccoli musi identici nel colore, rossi! I canguri erano diventati tre. Sbattei più volte le palpebre, stropicciai gli occhi, scossi in modo forsennato la testa cercando di snebbiare il cervello, cancellare la loro presenza, annullare quell’assurda visione. Niente! I canguri erano sempre lì e mi guardavano, sembravano stupiti dalla mia reazione, sembrava io dovessi sapere chi fossero ed il motivo della loro presenza. Girai lo sguardo per la stanza, era la camera di sempre, lo stesso letto, il medesimo armadio, lo specchio, i comodini, sul letto guanciale sprimacciato accanto al mio ed il di dubbio, l’assurda sensazione che mancasse qualcosa, qualcuno! Le prime dolorose contrazioni allo stomaco provocate dall’ansia, il senso di vuoto, l’assenza, la certezza! Il ricordo di un capo rosso rame, di uno sguardo profondo come il buio, il ricordo di un sogno accennato di piante e di canguri. Di canguri! Tornai con la memoria alla sera precedente
Fu proprio allora che rientrando in casa vidi il canguro, i canguri. In poche ore ero passato dall’antipatia alla simpatia, dalla simpatia a qualche cosa d’altro che non volevo ammettere, no, pensai, non è possibile. Solo da poco ero uscito piuttosto ammaccato da un matrimonio a dir poco burrascoso e sino a qual momento non avevo avuto alcuna intenzione di iniziare una nuova relazione. No! Mi dissi. Non voglio, non devo.
“No. Non puoi.” Quella voce echeggiò nella mia testa ripetendosi come un eco.
“Chi…?” esclamai sgomento.
“Noi” Mi volsi.
“Si, noi, i canguri”
“Voi non esistete, – urlai – non esistete e non siete mai esistiti. Non potete parlare, siete un incubo, una allucinazione, un’assurda ipotesi. Via! Andate via!”.
“Non possiamo, – risposero – E’ vero, prima non esistevamo, prima di cadere da un sogno, ma ora siamo qui come te e aspettiamo”.
“Aspettate? Aspettate cosa? Che cosa aspetto?”
“Lei – risposero – che lei torni a prenderci”.
“Tornerà?” chiesi sconfitto.
“Forse” risposero.
Non risposi, la mia espressione era più eloquente di qualsiasi parola. Scoraggiato mi buttai sul letto cercando di prendere sonno e col sonno dimenticare, loro mi circondarono pazienti ed attesero, poi, quando finalmente mi addormentai, silenziosamente entrarono nei miei sogni. Continuai così per diversi giorni a girovagare per la città nella speranza di incontrarla, senza nessun risultato, la sera rientrando a casa incontravo nuovamente i canguri che ripetevano ogni volta con gli sguardi la medesima domanda, aspettando poi, pazienti come sempre, che mi addormentassi per entrare nei miei sogni ed uscirne nuovamente al mio risveglio all’alba, nell’implorante attesa di poter tornare ancora una volta a quell’unico vero sogno.
refusi