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Nov 21, 2022 - pensieri    Commenti disabilitati su Storie di quasi storia, insomma favole. 2

Storie di quasi storia, insomma favole. 2

 

ENZO JANNACCI

Una canzone quando capita.

 

Vincenzina e la fabbrica

Quante Vincenzine hanno varcato i cancelli di migliaia di fabbriche, quante vi hanno trascorso una vita intera, piegare su telai o su specole, giorno su giorno a volte persino la domenica, senza conoscere riposo e senza ferie, quante sono entrate in quelle fabbriche ancora bambine con gli zoccoli ai piedi magari dovendosi alzare alle 4 o alle 5 del mattino per raggiungere a piedi le fabbrica distante chilometri, con le scarpe in o gli zoccoli in mano, per non consumarli e ripetere il percorso inverso giorno dopo giorno col sole la pioggia la neve il gelo in un tempo infinito che non cessava mai di essere uguale..

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Vincenzina davanti la fabbrica

Vincenzina il foulard non si mette più…

 

Ci sono state anche altre transumanze meno appariscenti, invisibili quasi nascoste di pochi km da nord a nord, dalle campagne alla fabbrica, dalla schiavitù alla tirannia, e si perché a quei tempi non è che le cose cambiassero di molto, ma era necessità del paese per la ricostruzione, della povera gente per arricchire, no non siamo ridicoli, solo per portare qualche cosa in tavola, ad arricchire erano comunque sempre gli altri, quelli che i soldi li aveva già da prima. Qui il processo era iniziato da tempo, quasi in concomitanza con lo scoppio della prima guerra mondiale, le filature e le tessiture avevano bisogno di mano d’opera e i contadini di soldi. E sì perché i contadini lavoravano la terra e per lavorare la terra avevano bisogno di braccia e per avere delle braccia facevano figli, per questo le famiglie erano molto numerose e occorreva molto per mantenerle, e poi c’era un problema, la terra, quella terra che lavoravano, mica era loro era del “padrone”. La terra da sempre apparteneva a pochi privilegiati, i latifondisti, privilegiati che non si sognavano nemmeno di occuparsene, non assumevano dipendenti per lavorarla, coltivarla o adibirla a pascolo, nossignori, loro la “affittavano” ai contadini pretendendo in cambio una percentuale sul raccolto e sull’allevamento, la maggior parte quasi sempre e ai contadini rimaneva ben poco, considerando anche che parte di quel poco finiva per riempire la dispensa del curato di turno. Fatto sta che la migrazione dalla campagna alle città, dall’agricoltura alla fabbrica avvenne come un fatto naturale, e iniziarono dalle proprio le donne quelle che nei campi davano meno supporto vennero inviate dalle famiglie a lavorare nelle fabbriche per avere anche quel sostengo che avrebbe permesso alla famiglia di sopravvivere, dal lunedì al sabato, per 10, 12 ore al giorno poi la domenica tornavano nei campi, e abbandonarono il foulard utile per tenere raccolti i capelli nei campi, ma fastidioso in fabbrica. Era iniziato il cambiamento dalla campagna alla città dalla chiesa al sindacato, dall’era contadina a quella industriale, stava per iniziare il boom economico, si fa per dire…

 

Vincenzina vuol bene alla fabbrica

e non sa che la vita giù in fabbrica

non c’è e se c’è dové

lalalà, lalalà, lalalà lala là

 

 

ENZO JANNACCI – VINCENZINA E LA FABBRICA (LIVE) – YouTube

 

Nov 18, 2022 - pensieri    Commenti disabilitati su Storie di quasi storia, insomma favole

Storie di quasi storia, insomma favole

 

ENZO JANNACCI

Una canzone quando capita.

Nazional popolare.

Enzo Jannacci non era solo un cantante, un cantautore, uno show man, no, Enzo Jannacci era anche un narratore, nelle sue canzoni raccontava con aria stralunata e una sottile ironia di quell’Italia del boom economico, quell’Italia uscita dalla guerra e ancora con le pezze al culo, che molti si rifiutavano di vedere ne tanto meno di raccontare. Così riempiva le sue canzoni di malinconia di sfaccettature di vita anonima, dimenticata, con grande amore e sagacia e raccontava quelle storie di serie “b” che molti, tutti si rifiutavano di raccontare. Proprio per questo il “nazional popolare” non vuole essere una definizione riduttiva ma un elogio alla sua grande capacità di saper cogliere emozioni di vita nelle strade, fra la gente, nei fatti di tutti i giorni il più delle volte ignorate.

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Soldato Nencini

Soldato Nencini, soldato d’Italia

semianalfabeta, schedato: “terrone”,

l’han messo a Alessandria perché c’è più nebbia...

 

L’inizio di una storia banale ironica come tutte le sue canzoni, ma carica di tristezza e malinconia ma poi… siamo sicuri che sia proprio così “banale”?

 

L’Italia era appena uscita uscita da una guerra disastrosa, a voler considerare bene le cose da due guerre disastrose, la prima che aveva cancellato buona parte della popolazione maschile del paese, la seconda dopo alcune campagne coloniali non proprio esaltanti, aveva provveduto a dare il colpo di grazia ad un paese già in difficoltà, piegandolo sulle ginocchia. Da poco era iniziata la faticosa ricostruzione, il nord si stava risollevando, fabbriche cantieri sorgevano un po’ ovunque, il sud però come sempre, a causa delle pessime gestioni, sia precedenti che quelle di quegli anni arrancava faticosamente. I politici se ne resero conto, occorreva fare qualche cosa, e giunsero alla brillante soluzione, investire nella ricostruzione e nell’ammodernamento di quelle parte del paese?

No e quando mai, ci volevano i soldi e i soldi servivano a loro, quindi? Soluzione lapalissiana, spedire al nord per il servizio militare i giovani del sud, così avrebbero cominciato ad ambientarsi conoscere i posti, vedere le opportunità che offrivano e poi tornarci finita la ferma per cercare lavoro, e spedire i giovani del nord al sud, beh qui le ragioni erano piuttosto nebulose o di semplice necessità, considerando il fatto che fatto che al nord non c’era più posto e poi avrebbero potuto tornarci in un lontano futuro magari come turisti (più tardi avrebbero operato con lo stesso metodo anche con i dipendenti pubblici ma con una direzione a senso unico). L’operazione riuscì secondo l’opinione di alcuni, meno secondo le opinioni di altri e di certo non servì a risollevare il sud dalle sue precarie condizioni. Sta di fatto che dopo alcuni anni le migrazioni da nord a sud presero proporzioni gigantesche, i posti di lavoro disponibili nelle fabbriche, la richiesta di mano d’opera, il sogno di una vita migliore, spinse molti meridionali a prendere la via del nord, privando il sud di quei lavoratori che ben indirizzati avrebbero potuto dare un contributo notevole alla crescita di quelle regioni. Fu così che iniziò una transumanza a senso unico dal sud al nord, come un gregge in movimento continuo, solo che ad accompagnarne e a dirigere il gregge non c’erano cani da pastore, ma bensì lupi, travestiti da agnelli. Beh se vogliano essere onesti qualche buon cane da pastore a accompagnare quel gregge c’è anche stato. Ha invaso il mondo con le sua macchine da scrivere e la sua industria era un fiore all’occhiello del paese un esempio al mondo per efficienza e tecnologia ma non solo, anche di uguaglianza, umanità e democrazia. Ma, hai detto era, poi cose è successo? La storia la conoscete tutti poi… poi è arrivato l’ingegnere. Uno dei lupi? No, un parente prossimo, della famiglia degli sciacalli.

Enzo Jannacci – Soldato Nencini – YouTube

 

Chiedo umilmente scusa ai canidi e agli ovini per l’irriverente accostamento.

 

Nov 7, 2022 - esternazioni in prosa, pensieri, poesie    Commenti disabilitati su C’era o non c’era

C’era o non c’era

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Dunque, c’era una volta,

sì una volta, non chiedetemi quale,

e nemmeno dove

ma una volta, c’era… o forse non c’era.

Di certo non c’era

nessun principe bello,

né una principessa dormiente,

ne un maestoso castello

nessun eroe cavalcava sopra un bianco destriero,

danno tutti per certo non ci fosse del vero.

Non c’era, o meglio c’era,

sì c’era un sogno abbozzato,

c’era la curiosità di fondo,

la voglia e la fretta di crescere e di capire,

e c’era o non c’era

il desiderio profondo di allargare il pensiero ad abbracciare il mondo.

Poi il sogno s’è perso fra pareti e finestre mai aperte,

su mancate risposte, su attese inutili e domande mai poste

e il pensiero è rientrato

un pochino contuso ha trovato un cantuccio e silente e confuso,

s’è accucciato

rimanendo a difesa del suo piccolo prato.

C’era o… non c’era

Nov 1, 2022 - esternazioni in prosa, pensieri    Commenti disabilitati su If… se… – Ovvero Dio, esiste?

If… se… – Ovvero Dio, esiste?

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Mastico poco l’inglese, anzi quasi per nulla, evito di usare nei limiti del possibile terminologie in questa lingua a me aliena, dico sempre fine settimana e non week end, ma di certo non posso dire topo in luogo di mouse, però dove possibile evito, però… però “If” se … questo piccolo congiuntivo in inglese mi ha sempre affascinato. If… già il suono nel pronunciarlo ha un che di magico, di misterioso, sospeso ed ineluttabile. Ma perché proprio ora e proprio if.. già perché? Perché diciamo che mi sono posto una domanda alla quale cerco da tempo di dare una risposta. Ma Dio esiste? Onestamente credo di avere risposto, o quanto meno a livello personale ho raggiunto una mia convinzione, no io non credo in dio e lo scrivo in minuscolo non per una forma di mancato rispetto ma solo perché lo considero un termine generalizzato e relativo a tutti gli dei venerati ora e in passato sulla terra, tutti, e dico tutti hanno nei confronti delle storia umana delle pecche di credibilità, alcune macroscopiche, altre abilmente celate all’interno di dogmi e di falsi storici abilmente costruiti nel corso di secoli e non verificabili. Ma comunque non posso affermare con certezza che un dio non esiste, posso solo affermare che non credo in nessun dio. O quanto meno non credo che “se”… eccolo il mio piccolo congiuntivo che viene al nocciolo delle questione, comunque dicevo che “se dio esistesse” – if god existed” (questa suona meno bene) sicuramente non riuscirei ad associarlo a nessun dio proposto dalle nostre religioni. Il Dio creatore dell’universo, dispensatore del bene e del male, il solo depositario della verità e del sapere, colui che ha creato l’uomo a sua immagine e somiglianza, (se cosi fosse direi che gli è venuto male) naaa, troppo scontato. Io me lo vedo come un vecchio signore incanutito, all’interno del suo laboratorio, nel centro dell’universo, avvolto in un camice bianco, (avete presente Einstein?) intento a elaborale le sue invenzioni, le sue teorie, i suoi passatempi. Che all’improvviso costruisce una trottola, tutta colorata di forma ellissoidale, con la quale ci gioca per alcuni millenni, (il suo concetto del tempo è decisamente diverso) poi annoiato la getta fuori dalla finestra senza rendersi conto che quella minuscola trottola, quell’esile ellisse è in grado di auto riprodursi, migliorarsi, evolvere… ma allora se… IF…

E comunque “If god existed” se dio esistesse, o dovesse esistere vorrei che fosse donna.

Set 25, 2021 - pensieri, poesie    Commenti disabilitati su Una strada nel nulla

Una strada nel nulla

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Guarda quella strada.

La vedi?

Vedi quel sentiero tortuoso

tracciato nel nulla?

Cercala,

la troverai.

Prendi quella strada,

quel sentiero senza contorni

che si intravede

in un vuoto irreale.

Segui quella strada

al di fuori del mondo,

il tenue, nascosto sentiero

dell’incoscienza, del sogno,

si delinea

in arcane immagini

al limite del sonno

della pazzia fantastica,

e cammina.

 

Mag 24, 2021 - genesi e nemesi, pensieri    Commenti disabilitati su Inerzia

Inerzia

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Come gli ingranaggi

di un orologio

che al tempo

non danno più valore

restano fermi

che di girar son stanchi.

Così i pensieri miei

han perso ogni volere

all’ombra di un dirupo

guardano vuoti

al rotolar del mondo.

Apr 30, 2021 - esternazioni in prosa, pensieri, poesie    Commenti disabilitati su Quanno nun sarò più (ironicamente)

Quanno nun sarò più (ironicamente)

(e chiedendo scusa ai romani)

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Quanno nun sarò più

‘m’emporterà più gnente

de me, de te,

de tutta l’artra gente.

De fa della politica,

neppure de fa et tifo,

de questo monno ‘nfame,

de tutto questo schifo.

Quanno nun sarò più

questo sarà l’andazzo

ma mo’ vorrei sape’

perché sto qui e m’encazzo?

 

Dic 3, 2020 - pensieri    Commenti disabilitati su C’è un tempo per scrivere – Parafrasando Pessoa

C’è un tempo per scrivere – Parafrasando Pessoa

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Come c’è un tempo per tutte le cose, così c’è anche un tempo per scrivere e come per tutte le cose anche il tempo per scrivere ha una fine. Ha una fine perché prima o poi finiscono le cose che abbiamo da dire e continuare vorrebbe solo dire ripetere quanto abbiamo già detto e scritto. Non c’è nulla di tutto ciò che abbiamo detto e scritto che non sia già stato detto da altri, in altri tempi o in altri luoghi, in termini e con parole diverse. Perché qualunque cosa abbiamo scritto, qualsiasi sia stato l’argomento che abbiamo affrontato, abbiamo solo raccontato un poco di noi.

Ott 28, 2020 - pensieri, poesie    Commenti disabilitati su Doni

Doni

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Dammi la tu mano

che la possa stringere,

dammi il tuo sorriso

che lo possa guardare,

dammi il tuo sguardo

che io ci possa leggere.

Se stringi la mia mano

non potrai stringere un arma,

se mi sorridi non potrai

urlare parole d’odio,

se mi doni il tuo sguardo

nel mio, leggerai rispetto.

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