
Piccolo mondo,
rimaste di te
le cose più tristi,
più amare, presenti.
Nude strade d’asfalto
bruciate e contorte,
campi aridi e brulli
deserti,
non più fecondati
dal sudore di uomini.
Città polverose
silenti di macerie,
ruderi
che racconteranno la storia
ai morti,
da che scoppiò su te,
piccolo mondo,
l’uragano d’ira
di pochi uomini.

A volte,
a volte mi scordo
di ciò che vorrei ricordare.
Seduto
sul bordo del fiume
osservo i miei pensieri,
scivolare
sull’acqua che passa,
come barchette di carta
inzuppate
che eroiche combattono
prima di piegarsi e affondare.
A volte,
a volte ricordo
le cose che invece volevo scordare.

Settantadue
le mie gambe fra le sue
le sue gambe fra le mie…
ormai sono solo fantasie.

Forse correndo
a ricercar me stesso
superai la meta.

Più l’ala del passero
non batte l’aria
e l’aria non spira
ad alcun vento.
Intrisa di ossidi
e di morte
veglia su vuote
case di cemento.

Spazi
vuoti dimenticati,
spazi
null’altro che spazi silenti.
Spazi
dove le parole rotolano
rincorrendo
tracce di antiche presenze,
bramando uno sguardo assente.

Perché di nuovo?
Improvviso, sgomento.
Non posso ma voglio.
Che fare?
Restare in silenzio,
parlare, gridare.
Di rabbia,
imbiancate le nocche,
nel desiderio assorto
non guardo a chi,
al mio fianco,
abbassa gli occhi e tace,
mentre a libertà
nuovi stendardi innalzo
ad aspettare
di un nuovo vento il soffio.