Code di paglia
Certo che
basta poco,
facile
come un gioco,
bastano due parole
e subito prendono fuoco.
S’accendono facilmente
sono come la sterpaglia
e bruciano velocemente
quelle, code di paglia.
Certo che
basta poco,
facile
come un gioco,
bastano due parole
e subito prendono fuoco.
S’accendono facilmente
sono come la sterpaglia
e bruciano velocemente
quelle, code di paglia.
Ci sono? Non so!
Più sì che no.
Mi alzo, mi vesto
poi mi guardo attorno,
così come sempre
come accade ogni giorno.
Guardare se fuori
è sereno o se piove
sognando ogni volta
di far cose nuove.
Ma per quanto mi sforzi
aguzzando le orecchie
come sempre finisco
per far cose vecchie.
Poi oggi mi tocca
pure di votare
che faccio ci vado
o vado al mare?
Ma il mare è lontano,
il seggio vicino
e il tempo quest’oggi
è proprio meschino
così mi decido
e poi m’incammino.
Apro la scheda
osservo una voce
e molto indeciso
vi pongo una croce,
col dubbio cosciente
di avere sbagliato,
qualunque sia il segno
ch’io abbia crociato.
Poi questa sera
alla televisione,
migliaia di facce
che non hanno nome,
faranno i commenti
su quello che è stato
una fiera di numeri
senza significato.
E come ogni volta
fra spirali di fumo
avranno vinto tutti.
Non perde nessuno.
E anche questa volta
ho sprecato il mio tempo
ponendo la croce
su folate di vento,
lontano che mormora
paziente a aspettare
c’è ancor l’azzurro
di quel caldo mare.
Ma, ci sono è così?
Più no che sì.
Questa
è la storia
di una scalpa bucata, lasciata
così
sola e abbandonata accanto
a un letto
disfatto
in un campo distratto, sulla
riva di un fiume.
E il fiume
che andava
la vide e gli chiese:
“Che resti qui a fare?
Nessuno
di certo, ti verrà più
a cercare.
Dai, vieni
io seguo la strada che va
verso il mare,
laggiù potrai stare sulla spiaggia
dorata
a prendere il sole
e quando vorrai ti potrai bagnare
nelle docili onde dell’acqua
del mare”
La scarpa si mosse e
si fece portare.
Ambarabà,
ciccì,
bamba,
coccò.
Le scimmie.
Tre, e il comò.
La figlia e il dottore,
l’amore.
No.
Che facevano le scimmie?
Non so.
Ma erano tre?
Si mi sembra. Perché?
No, non erano scimmie.
E il dottore
Faceva?
Faceva l’amore.
Con la figlia?
Sul comò.
Che strana famiglia.
In verità
non ricordo
com’era
che c’era
chi c’era.
Ma il comò,
quello c’era.
Sì, c’era,
ma
era storia non vera.
Ma allora
che c’era?
La mia gioventù.
Ah, ma allora…
almeno quella era vera.
Sì, si, ma
era.
Ambarabà ciccì coccò (Testo della filastrocca)
Ambarabà ciccì coccò
Tre civette sul comò
che facevano l’amore
con la figlia del dottore.
Il dottore si ammalò
ambadabà ciccì coccò.
Non vi nascondo come all’epoca questa filastrocca
abbia potuto confondere le mie poche nozioni sullo
argomento.
Mi chiedevo come fosse possibile che tre civette
potessero fare l’amore con la figlia del dottore e per
di più sopra ad un comò, di uno scomodo. Il fatto
aveva così colpito la mia fantasia giovanile tanto
da portarmi a formulare delle ipotesi.
I) Si trattava di tre civette maschio superdotate.
>>>>>> <<<<<<
II) Per questioni di pudore la signorina in causa
aveva indicato come civette quelli che a
all’epoca erano comunemente e genericamente
definiti “uccelli”
>>>>>> <<<<<<
III) Il narratore degli accadimenti si era fatto una
canna, rara per quei tempi, o più semplicemente
un bottiglione di barbera.
>>>>>> <<<<<<
IV) Antonio, Guido e Marco Civetta, si stavano
divertendo
E sì,
ormai gli anni sono tanti,
e anche se il fisico
bene o male regge ancora,
la mia paura
e che il cervello
possa andare alla malora.
Se voi la sopra
mi stare a sentire
vi prego, un favore,
non lasciatemi rincoglionire
ma
fatemi morire, fatemi morire,
prima.
Il barone in pensione
con il cane barbone
ed il cane bastardo
che è senza padrone,
un barbone sdraiato
su un giornale nel prato.
Stanno tutti dipinti
dentro al grande ritratto
dell’angolo di mondo
di un pittore distratto.
Ci sono e non ci sono
cazzeggio e guardo in giro
potrei sparare basso
oppure alzare il tiro,
tanto non cambia nulla
con l’aria che oggi tira
sarebbe assai improbabile
poter sbagliar di mira.
Fra geni autogestiti
nel nome del successo,
cervelli alquanto labili
dispersi dentro a un cesso,
in rumori di sciacquoni
si soffocano le voci
ignorando che li accanto
s’innalzano nuove croci.
Cosa volevo dire?
Forse l’ho già scordato
tutto teso a rincorrere
le storie del passato,
perché a quanto pare
sarà davvero duro
sperar di raccontare
le storie di un futuro.
A queste quattro righe
ora pongo un confine
poco discosto scorgo
soltanto il vuoto, fine.
ref
TAG: così per caso
Cosa, una cosa
qualcosa
cose a iosa
una corre, una riposa
Una cosa,
una verde e spinosa
che sia forse una rosa?
Ed un altra noiosa
forse era una sposa
sull’altare, un po’ ansiosa.
Una cosa
bianca e cotonosa
come schiuma da barba spumosa.
O trasparente e festosa
come acqua che scende gioiosa
da torrenti di pietra corrosa.
Una cosa
ridondante e chiassosa
come folla al mercato, curiosa.
O silente e lacrimosa
come madre ferita e luttuosa.
Una cosa,
vessata, sgualcita e dolorosa
una vita sprecata a cercare qualcosa.
refusi
Ei fu,
siccome immobile
spento ormai ogni ronzio
è là posizionato
ai lati del leggio.
Lo guardo stanco e attonito
col desiderio insano
di stritolarlo tutto
nel palmo della mano.
Giace, così
ormai inutile
argentea scatoletta
presa da un male futite
che me l’ha resa inetta.
A nulla serve piangere,
urlare od inprecare
tutto finì a puttane.
e tutto è da rifare.
Dati, file e filmati
costati tanto tempo
svaniscono così,
come del fumo al vento.
Persi in un solo istante
circa trecento giga
mi si data licenza
di dir che è proprio sfiga.
ref