Immagina
Immagina.
Immagina uno spazio,
immagina un suono,
immagina un sorriso,
immagina un abbraccio,
immagina un bacio,
immagina una lacrima,
immagina un amore.
immagina.
Immagina una vita
Immagina.
Immagina uno spazio,
immagina un suono,
immagina un sorriso,
immagina un abbraccio,
immagina un bacio,
immagina una lacrima,
immagina un amore.
immagina.
Immagina una vita
Non credere all’amore di un poeta,
stella cadente in un cielo d’agosto.
Non credere al dolore di un poeta,
onde di schiuma in un oceano mosso.
Non credere alla gioia di un poeta,
coriandoli lanciati a ricoprire un fosso.
Non credere alla morte di un poeta,
o sarà eterno, oppure era già morto.
No, non credere
refusi
Ghe chi vegn
e ghè chi va
chi partis,
chi resta a ca,
questu mound
a le fa inscì,
prima o poeu,
tucherà a mi,
ghe nisun
che l’è eternu
prima o poeu
riva l’invernu.
Setantasett,
un ann puseè
anca vurè se po no
turna indreè,
cume disevi
ul mund l’è fa inscì
dunca cuntentes
de ves ammo chi.
Settantasette – C’è chi viene/c’è chi va/chi parte e chi resta a casa/ questo mondo/ è fatto così/prima o poi/ toccherà a me/ non c’è nessuno/ che è eterno/prima o poi/arriva l’inverno/Settantasette/ un anno in più/anche volendo non si può/tornare indietro/come dicevo/ il mondo è fatto così/quindi accontentati/di essere ancora qui.
Setantases e…
par dumò ier
che curevi par i praa
saltavi i scies,
rampegavi sura i piant
a ciapà scires.
Quanti dì, quanti mes,
quanti ann
quantu temp perdù
a cur dree ai tusan,
Occ pien de strad,
de paes, de gent.
Gent impurtanta
o che cuntava gnent,
amis perdù
che ul temp a menà via
che me impienisen
anca mò de nustalgia.
E mo su chi col cò
pien di rop che ou fa
‘n quei vuna giusta,
ma anca trop sbaglià,
Setantases e..
par dumò ier
i prà in luntan
e a ghe pu i scires
sun chi dumò
con tucc i me bisogn
i me ricordi
ma anca mo cunt i me sogn.
Settantasei e…
Settantasei e…/Sembra solo ieri/che correvo per i prati/saltavo le siepi/mi arrampicavo sugli alberi/a cogliere ciliegie./Quanti giorni, quanti mesi,/quanti anni/quanto tempo perso/a rincorrere ragazze./Occhi pieni di strade,/ di paesi, di gente/ Gente importante o che contava niente/amici persi/che il tempo ha portato via/ma che mi riempiono/ancora di nostalgia. E ora son qui con la testa/colma delle cose che ho fatto,/qualcuna giusta,/ma anche troppe sbagliate: Settantasei e… / sembra solo ieri/ i prati sono lontani,/e non ci sono più le ciliegie/ sono qui soltanto/ con tuti i miei bisogni/ tanti ricordi/ ma ancora coi miei sogni.
Dunque, c’era una volta,
sì una volta, non chiedetemi quale,
e nemmeno dove
ma una volta, c’era… o forse non c’era.
Di certo non c’era
nessun principe bello,
né una principessa dormiente,
ne un maestoso castello
nessun eroe cavalcava sopra un bianco destriero,
danno tutti per certo non ci fosse del vero.
Non c’era, o meglio c’era,
sì c’era un sogno abbozzato,
c’era la curiosità di fondo,
la voglia e la fretta di crescere e di capire,
e c’era o non c’era
il desiderio profondo di allargare il pensiero ad abbracciare il mondo.
Poi il sogno s’è perso fra pareti e finestre mai aperte,
su mancate risposte, su attese inutili e domande mai poste
e il pensiero è rientrato
un pochino contuso ha trovato un cantuccio e silente e confuso,
s’è accucciato
rimanendo a difesa del suo piccolo prato.
C’era o… non c’era
Un giglio di prato,
fiorito
in un tempo sbagliato
ed un sole sorto
quando
non era aspettato,
con la luna iniziò
un gran litigio
sopra ad un mare agitato.
Un barcone
di schiavi affollato
muove la prora
in favore di vento
dimenticando
la poppa nei ricordi,
inseguendo speranze
seppellendo i morti.
Alla ricerca di un lido,
di un luogo dove stare.
In un tempo sbagliato
fra le onde
sul mare.
L’uccello vola,
vola nel cielo sereno.
Nel cielo sereno
felice, l’uccello
intona il canto.
Canta dentro noi
nel nostro cielo
vola,
l’uccello in noi,
felice nel suo volo,
cantando.
Sino a che sbatte
contro un grigio muro,
l’invisibile muro
delle nostre paure e cade.
Cade l’uccello,
nel becco spezzato
giace,
l’ultima nota del suo canto.
Cade,
alla base del muro
su altri uccelli
che da tempo giacciono
feriti, muti,
il becco spezzato.
Quanti altri uccelli
dentro noi hanno volato,
quanti,
hanno trovato quel muro
che gli ha rotto il canto,
quanti voleranno ancora
per cadere poi
alla base del muro.
Su quel mucchio informe
di dolore muto
anche l’ultimo uccello
cadrà,
con il becco spezzato.
Smettete di parlare.
Lasciate il silenzio
al silenzio.
Non accendete
abbaglianti fari
lasciate il buio
al buio.
Non bruciate nulla
non solo calde fiamme
si alzeranno,
sopra di queste fumo.
Lasciate che la verità
sia vera,
non nascondete la vita
nell’ipocrisia.
Lasciate la luce alla luce,
il buio al buio.
Il silenzio al silenzio
e ascoltate,
ascoltatevi
in silenzio,
mentre vi parlate.
Da quale mare
da quale spazio
in quale tempo
giungemmo noi.
A quale lido
a quale spiaggia
in quale porto.
Quale
la nostra strada
quale il nostro
definitivo approdo.
Generazioni perse,
prigioniere dello spazio,
assurdi inventori
di un tempo consumato
da padre in figlio
da figlio in padre.
Scordato
il lontano inizio,
persi nella notte
di un tempo uguale,
noi mutevoli.
Quale il nostro fine?
Noi mutevoli,
ma eterni come il tempo,
chi siamo?
Miseri resti di dei
non più immortali?
Bruchi, crisalidi
di inimmaginabili farfalle?
L’assurdo gioco
di un capriccioso dio?
Quale fu l’inizio?
Quale sarà
la fine?
Nel buio più buio
un lampo di luce
si accende,
donando
a contorni sfocati
un istante
di orribile vita.