Senza nulla chiedere
Senza nulla chiedere
e senza nulla dare
vivo di attimi
di differenze inutili
senza un perché
ondeggiando immobile
Senza nulla chiedere
e senza nulla dare
vivo di attimi
di differenze inutili
senza un perché
ondeggiando immobile
Abbiamo tutto
tranne ciò
che dovremmo avere,
siamo tutto
tranne ciò
che dovremmo essere.
Riconoscenza
La fune delle mie illusioni
spezzata
dalle travolgenti onde del mio dolore,
non può trarmi da questa palude.
Guardo la realtà con coraggio!
(e dove sei, coraggio?)
L’affronto a viso aperto sorridendo
per essere d’appiglio!
(dove sei, sorriso?)
passo dopo passo,
sostenendo chi dipende dalla mia forza!
(forza, dove sei?)
Padre mio,
emblema di perseveranza,
estese cicatrici a riprova
di drammatiche battaglie;
madre mia
ancora sai reggere mille nostre e tue disfatte;
le tante speranze infrante
dagli sconsiderati figli
non hanno intaccato il vostro amore!
Da questo pensiero il coraggio,
il sorriso e la forza,
da questo pensiero
la fune più forte!
Comparsa, Paola
tratto da ” Siamo quelli che siamo…
Sempre di corsa
in cerca di un amore,
facciamo così diciamo, perché
lo suggerisce il cuore
poi ci struggiamo fra lacrime
e passione
sino a che dura il gioco,
l’illusione
sino a che il tutto
è diventato vecchio,
gocce dimenticate dentro
a un secchio
poi via di nuovo,
il nuovo amore c’attende
a braccia tese,
il cuore lo pretende.
Sino a che un giorno
di fronte ad uno specchio
ti accorgi che,
sei divettato vecchio.
Il gioco ora continua
ma il tuo volo
resta per terra, misero
tu, sei rimasto solo
ed ora contemplando
ciò che resta
scopri che colpa non fu del cuore
ma della testa.
(Essere o avere, ovvero l’uomo in sintesi)
Abbiamo
troppe pene nel cuore
troppo sperma nel pene
troppa merda nel culo
e nel cervello
solo catene,
catene di pene
catene di sperma
catene di merda.
L’uomo:
“Che merda la vita”
La mosca:
“Che vita la merda”
da “futuro prossimo venturo”
… e ancora una volta
il senno e la pazzia
si dichiarano guerra.
Il bianco, il rosso, il nero
e gli altri
han confuso i colori delle loro ragioni,
gli ideali si confondono
con le aberrazioni
a vicenda esaltandosi
in un ultimo
putrefacente abbraccio.
La vita, è appesantita e stanca,
mentre lontano, la morte,
sta partorendo un altro figlio,
il sogno e la realtà,
caduti nel frullatore elettrico
frantumati e ricomposti
non sono più reali l’uno dell’altra.
L’uomo che ha perso la voce
grida
intellegibili parole di dolore,
il figlio nato NorfaNo
piange la sua solitudine
e ride della sua libertà
maledicendo una madre qualunque.
L’ultimo cavallo da tiro
seduto a cassetta
osserva
il cane pastore rinsavito
azzannare le pecore,
incurante del pastore che lo scuoia.
La prostituta zoppa
fugge dondolando, inorridita,
dalle profferte d’amore
di un gobbo.
Lontano all’orizzonte
mentre un’inesistente astronave aliena
bombardando distrugge gli ultimi resti
di una città che esisteva,
l’ultima luna bacia
i labbri salati di un mare
che s’aprono ad accoglierla.
Calpestati terreni scoprono,
inspiegabili resti di civiltà
più antichi della più antica scimmia
e del seme che generò Adamo,
e il coscienzioso scienziato,
ancora cerca l’anello mancante.
La verde foresta nera, rossa
degli ultimi tizzoni, crepita,
mentre sullo spiedo rosola, girando,
il daino caduto preda.
L’ultimo cerchio della superba aquila,
che ha appreso la risposta,
s’infrange su scoscese rocce,
e gli elefanti si fanno il nodo al naso
per ricordarsi, ancora una volta,
di sopravvivere.
Il sangue impazzito
circola, ignorando i segnali.
Nella cella frigorifera,
un quarto di bue muggisce di protesta,
all’urto di un mezzo macellaio.
Mentre, nella la città assediata
un gatto fugge la sua fame
inseguito dalla fame degli altri,
nel tribunale il giudice,
impiccato in ultima istanza,
condanna il boia
e l’assassino apprensivo
muore d’infarto
sulla sua ultima vittima.
La vergine sessantenne pentita
si deflora con la ventosa del cesso, e
la giovane fanciulla giace, divaricata
al grido d’amore
mentre offre il suo unico fiore
al turgido pene di Dio e di Satana
alle pene del mondo e alle pene d’amore.
I quattro cavalieri dell’apocalisse
disarcionati
rincorrono i loro destrieri
urlando di aspettare
che non è tempo, non è ancora l’ora.
Mentre sordi ai richiami
i cavalli galoppano calpestando
le rovine di un mondo,
macigni di cime frananti
rotolano pesanti a valle
e l’acqua sale a monte
a coprire ogni ragione
alla ricerca di una nuova,
impossibile arca.
refusi
Portava pane nella cesta
fragrante pane che attorno
fondeva il suo profumo
Cani randagi
l’umido naso al vento
ad annusare l’aria
che quel profumo
non dava alcun sostento.
Portava pane nella cesta,
portava pene nell’anima
che volentieri
avrebbe con trasporto
dato a quei cani
quel poco pan che aveva
in cambio di un momento
di un gesto d’amore
e di conforto.
Bello, sorridente, gentile, amabile, trascorreva la sua vita fra Parigi e il resto del mondo, lui M…. B….. titolare dell’omonimo magazzino e negozio posto in quel di rue de Clery era considerato a quei tempi, un genio nel suo settore. Nella vetrina del suo negozio facevano bella mostra di sè broccati, sete, tessuti fruscianti e variopinti, stampe sgargianti o delicate, quanto di meglio, si diceva, si potesse trovare. Dentro, una folla di dame, couturier di grido, sarti e sartine in certa di gloria alla ricerca di quel tessuto che consentisse loro di creare quel modello unico che li avrebbe consolidati nella gloria o portati a nuova fama. Lui cortese e gentile prestava attenzione agli uni e agli altri senza distinzione, racontando la storia che aveva portato alla nascita di un tal tessuto e quello che a suo parere sarebbe stato il suo giusto impiego. Ricordo una delle ultime volte che lo incontrai fu a Francoforte in occasione dell’edizione invernale della fiera tessile. Quando io ed i mie colleghi giunti in loco e recatici all’albergo, il Franckfurterhoff, ci rendemmo conto che la segretaria aveva sbagliato le date della prenotazione posticipandola di un giorno e che noi per quella notte non avevamo di che dormire. Praticamente impossibile trovare delle camere altrove nel raggio di una cinquantina di chilometri, le prenotazioni in quelle occasioni venivano fatte immediatamente al termine della manifestazione per la successiva. Solo con un gioco di prestigio, l’aiuto del direttore, che conoscevamo da anni ed una lauta mancia, riuscimmo ad avere le camere sostenendo che l’errore fosse della reception. Fu così che la sera sul tardi, rientrando in Hotel dopo la cena lo incontrammo sul marciapiede di fronte con la valigia in mano. ” Eila M…. ça va?” – “Pas de tous” rispose con aria afflitta, ” Mais qu’est qui se pass?” Chiedemmo. “J’ai n”ai pas la chambre – rispose – je sui etonnè, j’etait certaine d’avoir reservè” concluse poi con aria più stupita e rassegnata che arrabbiata. Lo lasciammo là, sul marciapiede augurandogli di riuscire a trovare una camera per la notte e ce ne andammo con la certezza di essere stati noi la causa seppur involontaria di quel disguido, indecisi se rammaricarcene o se scoppiare in una fragorosa risata. Il nostro senso di colpa venne attenuato il giorno dopo quando venimmo a sapere che aveva trovato una camera presso l’hotel dell’aeroporto. Ho sempre pensato di doverti chiedere scusa M…. ma non ho più avuto occasione di farlo, sono certo che tu dopo avermi guardato in cagnesco per un attimo ed avere sussurrato un ..”Je n’achete plus chez toi” saresti scoppiato in una fragorosa risata. Ricordo quando nella Hall dell’albergo in occasione di una precedente manifestazione ad un tizio che non ti conosceva che vedendoti attorniato da una folla che pendeva dalle tue labbra ai tuoi racconti e che ti chiese cosa facessi nella vita, guardandolo sorridendo rispondesti “Le copieur”. Si M….. tu hai passato la vita a copiare la natura nelle sue forme e nei suoi colori e così, come eri sempre solito fare, onestamente glie ne hai reso merito
refusi